HOME GALLERIES EN
 

 

VISUAL EXTRAPOLATIONS

Estrapolare dalla realtà

Un viaggio o un’avventura possono essere pianificati a volte con mesi di anticipo, molto più spesso tuttavia è il caso a giocare un ruolo determinante, unitamente alla passione, all’osservazione, alla ricerca. Una serie di circostanze concorrono insieme a formare un risultato tanto più sorprendente quanto inatteso. Chi non ha mai giocato da piccolo coi ritagli di giornali? L’immaginazione del bambino non ha limiti, sfogliare le pagine di un giornale è come attraversare in volo mondi e paesaggi sconosciuti, valli, pianure, distese di campi e fiumi luccicanti, orizzonti a perdita d’occhio. Uno dei miei divertimenti preferiti da piccolo era tagliare la carta dei giornali con un paio di forbici e ricomporne poi i ritagli secondo forme e colori via via diversi. Non saprei dire perché lo facessi, ma mi piaceva l’idea di poter annullare in questo modo il tempo, inseguendo sogni e fantasticherie misteriose. Non si trattava di un divertimento banale. Era, dal mio punto di vista, una vera e propria arte, che richiedeva impegno e capacità di immedesimazione. Molto o quasi tutto era lasciato al caso, alla fantasia. Se avessi dovuto dare una definizione di fantasia, per me la fantasia era libertà, libertà di pensieri che scorrono tumultuosi nella propria mente e attribuiscono significati, a volte bizzarri, a volte misteriosi, anche agli oggetti più banali, d’uso quotidiano. Così le pentole da cucina diventavano elmi da combattimento e un semplice scatolo di cartone poteva trasformarsi in un’automobile da corsa.

Ma si cresce, si studia. L’infanzia a poco a poco non è che un pallido ricordo, una fotografia sbiadita, un libro ingiallito, un giocattolo rotto, un angolo di soffitta abbandonato.

Quindi iniziai a studiare storia dell’arte e per caso mi imbattei nell’opera di Max Ernst, un surrealista che, guarda caso, deve il suo successo proprio agli scampoli di giornali, o quasi. Mi impressionò il suo metodo di lavoro e non potei fare a meno di constatare, in verità, quanto simile fosse il suo approccio alla mia passione infantile per i ritagli di giornale.

Ernst utilizzava infatti libri, riviste e giornali per ritagliarli e scomporli, giustapponendone poi i vari elementi, per creare oggetti e creature fantastiche, mutuate dalla mitologia e fatte riemergere a poco a poco, con sorprendente abilità, dalle zone oscure ed abissali della psiche, in bilico fra realtà e sogno, stato cosciente e stato onirico.

Così iniziai, come per gioco, a comporre i miei primi collage, collage dalle dimensioni ridotte naturalmente, che non avevano alcuna pretesa di essere dei veri e propri quadri. Mi resi conto però, che il mio modo di procedere era sostanzialmente diverso da quello di Ernst. I miei collage non intendevano produrre immagini dotate di senso e nemmeno di non senso. Non potevano cioè essere definiti surrealisti. Il Surrealismo intendeva infatti stravolgere il senso comune delle cose, affinché potessero emergerne significati e interpretazioni della realtà del tutto non convenzionali. Intendeva operare, in definitiva, con il lato oscuro e inesplorato della psiche.

I miei collage, invece, sembravano tendere ad un equilibrio ideale di forme e colori, erano tendenzialmente più astratti. Non intendevano convogliare un messaggio e nemmeno un significato. Mi piacevano così, nella loro naturalezza.

Inizialmente, siccome l’obiettivo era quello di realizzare quadri di una certa dimensione, dai 50 al 70 cm di larghezza, mi orientai verso pittori come Braque e Schwitters, poiché era necessario assemblare superfici anche piuttosto vaste. Non bastavano i singoli i ritagli di giornale, ma occorreva a volte utilizzare interi fogli di carta o cartone colorato (Matisse ad esempio utilizzava pezzi di carta colorata), oppure stoffa, materiali da imballaggio o recupero, e via di seguito. Mi servivo in alcuni casi di manifesti pubblicitari, che strappavo all'occorrenza dai muri. Insomma, coi semplici ritagli di giornale riuscivo a malapena a riempire un foglio A4.

Così cominciai ad abbinare collage e frottage, il frottage principalmente per riempire i vuoti, lo sfondo, le parti mancanti o di raccordo, il collage invece per dare forma, colore e spessore agli oggetti (ad es. triangoli, cerchi, rettangoli, ecc.) delle composizioni.

Dapprima creavo lo sfondo. Sovrapponevo, in sostanza, il quadro a superfici ruvide e marcate, come sacchi di tela o pezzi di legno o qualsiasi altro materiale non liscio e poi vi sfregavo sopra matite di varia morbidezza, conté, gessetti, pastelli, e via di seguito, e lasciavo che si formassero in questo modo delle texture imprevedibili, del tutto casuali, sfumate e irregolari.

Ma nel frattempo avevo cominciato ad apprezzare la pittura americana degli anni ’50 e ’60, l’action painting di Pollock e la pop art di Wharol, Lichtenstein e Rauschenberg. Inoltre ero affascinato da tre mostri sacri: Gauguin, per i suoi colori caldi e intensi; Matisse, per la freschezza delle sue composizioni e la vivacità dei colori; infine Paul Klee, per la sua pittura intransigente, minimalista, ascetica.

Uno dei primi collage, intitolato 'Thunderstorm', ispirato al surrealismo di Max Ernst. E' evidente l'uso di ritagli di giornale.

In uno dei miei primi collage (Thunderstorm, nella foto), è ancora evidente un certo "influsso surrealista": lo sfondo è metafisico, sovrastato da un cielo cupo, sul quale si stagliano forme geometriche bizzarre, surreali, dall’equilibrio instabile e sospeso. Di quest’opera esistono tre versioni:

  1. la prima è un collage ed è stata realizzata su carta da lettera, dunque le sue dimensioni sono molto ridotte (i ritagli di giornale sono prelevati da riviste di attualità, per l’esattezza da inserti pubblicitari);
  2. la seconda è una riproduzione su cartoncino ruvido da disegno; si tratta di un marker ad acqua 100 x 70, di cui purtroppo ho perso ogni traccia, avendolo regalato ad un amico, che non ho più rivisto da anni;
  3. la terza infine è una riproduzione su tela, realizzata con tecnica mista, prevalentemente marker da acqua, inchiostri colorati e tempera acrilica (in basso).

Quadri incorniciati. A seguire: l'ultima riproduzione rimasta di Thumderstorm (cm. 100 x 70), nel soggiorno di casa; due quadri di tipo geometrico (tempera e matita); infine, marker ad acqua cosparso di vernice acrilica, pressata con materiali ruvidi, in modo da imprimerle una texture a maglia.

Thunderstorm è un quadro molto importante, poiché dà inizio a un "metodo", che chiameremo da ora innanzi "arte dell'assemblaggio" o "artigianato modulare" o "arte ibrida".

Arte dell’assemblaggio, con riferimento al procedimento creativo che, in tutte le sue fasi, dalla progettazione alla realizzazione finale dell’opera d’arte, consiste nello sperimentare e assemblare tecniche e soluzioni anche molto diverse fra loro.

Artigianato modulare, con riferimento alla progressione, che è di tipo scalare: si parte da un’intuizione, normalmente un’idea o un insieme di circostanze, anche del tutto fortuite, e gradualmente si aggiungono nuove idee e soluzioni, nuovi "moduli", come in un gioco ad incastro, fino a raggiungere il risultato convenuto (in sostanza, il risultato "ottimale").

Arte ibrida, infine, con riferimento alla pluralità di tecniche utilizzate e soprattutto alla gamma di esperienze artistiche che più o meno implicitamente o esplicitamente contribuiscono ad arricchire o viceversa ad influenzare, da un punto di vista espressivo e culturale, la gestazione complessiva dell’opera d’arte, influenze che possono dunque essere di molteplice natura e provenienza (scuole, stili, generi, ecc.).

Il metodo, comunque, mantiene una certa costanza nel tempo. Uno volta sperimentato, constatatane l’efficacia e l’applicabilità a contesti e circostanze eterogenee, si tende a sfruttarlo e riutilizzarlo, con piccole varianti, fintantoché non esaurisce totalmente il proprio "potenziale creativo". Quello che cambia, invece, sono le intuizioni, ovvero le idee centrali che, di volta in volta, presiedono alla creazione di una determinata opera d’arte o di un gruppo di opere d’arte. In tal caso si parla di "progetti".

Il quadro in alto fa parte di una collezione dedicata all'Aleph di Borges e raffigura la Città degli Immortali, descritta nel racconto metafisico 'El immortal'. Si tratta di uno dei primi collage, ma la lavorazione è completamente diversa: sono stati utilizzati infatti colori pantone per gli sfondi, marker ad acqua per le forme, matite e pennarelli per le finiture. L'obiettivo è quello di emulare l'effetto tela.

I progetti si articolano dunque in più fasi, entro coordinate formulate in anticipo e percorsi il cui scopo è quello di pervenire gradatamente alla creazione di opere d’arte "riconoscibili" appunto per l’appartenenza ad una determinata fase evolutiva, o "periodo", e accomunate pertanto da un nucleo di "concetti base" e intuizioni condivise.

L’intera serie dei primi collage, molti dei quali riportati successivamente su tela o cartoncino, appartiene di fatto ad un progetto che ho voluto chiamare Visual Extrapolations, proprio perché si "estrapolano dalla realtà" forme ed elementi che, predisposti secondo determinate configurazioni, anche casuali, sono in grado generare a livello percettivo delle vere e proprie opere d’arte, dai colori densi e vivaci, composizioni astratte e sostanzialmente equilibrate, che suggestionano la coscienza visiva e appagano il senso estetico. Ovviamente, si tratta di una forma di estrapolazione indiretta, in quanto operata su di una "realtà mediata", nel senso che gli elementi utilizzati nelle composizioni, cioè nei collage, sono di fatto prelevati proprio da quei "media" (stampa, tv, fotografia, cinema, ecc.) che questa realtà descrivono.

In altre parole, mentre il pittore tradizionale si ispira direttamente alla natura o alla società, nelle "Visual Extrapolations" si utilizzano invece copertine di giornali, inserti pubblicitari e foto per stimolare la propria immaginazione e la creatività artistica, operando una transizione sempre più marcata e irreversibile verso la multimedialità e, come vedremo, la virtualità del world wide web.

 

Home    Inizio   

 

 

VISUAL METAMORPHØSES

Reinterpretare la realtà

Il collage consente, come abbiamo visto, di creare facilmente delle composizioni astratte dai colori vivaci ed equilibrati. Ma non consente di manipolare ulteriormente forme e colori, applicandovi quegli effetti e quelle tecniche che, di fatto, sono concepibili soltanto nell’ambito della pittura tradizionale, dove il "pennello" gioca ancora un ruolo fondamentale e di conseguenza incontrastato. Questo limite mi apparve tanto più chiaro ed insormontabile dal momento che non avevo ancora appreso quelle tecniche di carattere squisitamente grafico, come la "rasterizzazione" o la "tassellatura", che mi avrebbero successivamente consentito di riportare in grande, su tela o cartoncino, i miei minuscoli ed accurati "collage amatoriali", consentendomi altresì di applicare al supporto finale, con sistemi e strumenti spesso eterodossi, correzioni cromatiche e/o alterazioni materiche intese ad emulare, di fatto, proprio quegli effetti e quelle ricercatezze che a volte soltanto i grandi pittori riescono ad ottenere, con la spatola e il pennello, attraverso una sapiente miscelazione dei colori e un tocco del tutto personale.

Non conoscendo queste tecniche, mi ero di conseguenza quasi rassegnato a raccogliere, in una sorta di quaderno, tutti i miei collage preferiti, ripromettendomi in futuro, qualora me ne fosse stata data l’occasione, di riportarli tutti (o quasi tutti) in grande.

Continuai pertanto a sperimentare nuove tecniche utilizzando, in mancanza di alternative, i miei stessi minuscoli collage come laboratorio di ricerca. Nacque così l’idea delle Visual metamorphoses. Non si trattava più di estrapolare dalla realtà forme ed elementi che, predisposti secondo determinati schemi, potessero partorire, a livello percettivo, delle composizioni astratte dotate di "senso", non soltanto estetico.

Figura n. 1 - Smarties mosaic

Si trattava ora di trasformare quelle stesse composizioni in qualcosa di nuovo e inusuale. Le possibilità erano molteplici. Compresi che, da una stessa immagine se ne potevano ricavare altre per moltiplicazione e/o sottrazione di elementi, oppure facendone emergere qualità e caratteristiche latenti, ad esempio invertendone i colori o trasformandone le gradazioni.

Nella figura n. 1 è riportato un classico esempio di trasformazione per moltiplicazione e/o sottrazione di elementi: la foto di un mosaico da bagno è stata ingrandita e successivamente ricolorata con pennarelli ad acqua e inchiostro nero. Infine sono stati aggiunti ritagli di giornale e oggetti di diverso colore e forma.

Un esempio molto efficace di questo modo di procedere è rappresentato dall’insieme di piccoli collage (anche questi riportati in grande, alcuni anni dopo) denominata "The canon lens spectrum". Si tratta della pubblicità di una macchina fotografica Canon, della quale ricordo feci numerose fotocopie in bianco e nero, qualcuna a colori. Da ogni fotocopia furono successivamente prelevati, ritagliandoli, alcuni elementi. Si è proceduto infine a modificarli, con diverse tecniche.

Figura n. 2 - Piranha

Nella figura n. 2, intitolata "Piranha", è stato ritagliato sistematicamente il pulsante di scatto della macchina fotografica; successivamente, i pulsanti così ritagliati sono stati disposti insieme, a formare una specie di texture straniante, che mi è sembrata essere un banco di pesci piranha, dagli occhi dilatati, pronti ad aggredire. La composizione è stata quindi inumidita con soluzioni di alcool e inchiostri colorati, in modo da imprimergli una tonalità per così dire "acquatica".

Ma gli esperimenti senza dubbio più interessanti sono stati fatti manipolando l’obiettivo della macchina fotografica, che è stato fotocopiato e poi ritagliato numerose volte. Alcune fotocopie sono state cosparse di colle viniliche, con l’aggiunta di materiali granulari, sabbie, inchiostri colorati, tempere acriliche, ecc.; successivamente vi si sono adagiati sopra, prima che la colla si essiccasse, dei fogli di giornale (ad es. riviste patinate) o delle tavolette di legno, ceramica e vetro. Infine, il tutto è stato asportato, con conseguenze potete immaginare disastrose, ma in alcuni casi interessanti. A volte la colla, non ancora essiccata, ha trattenuto parte dei materiali granulari precedentemente cosparsi, con effetti non di rado simili al "puntinismo" di Seraut. In altri casi, dalle riviste si sono staccati interi brandelli di carta: non ho potuto fare a meno di pensare ai quadri di Alberto Burri, ai cosiddetti "sacchi" e "catrami" degli anni ‘50.

Riassumendo, le fotocopie sono state cosparse di colle e colori acrilici che, bisogna dire, sono stati comunque disposti seguendo l’orientamento circolare e concentrico dell’obbiettivo Canon impresso sulla fotocopia. In alcuni casi, tuttavia, si è preferito adagiare sulla fotocopia, con diversa pressione, delle tavolette di vetro o ceramica, per poi asportarle, prima che aderissero definitivamente. Questo, come si può ben immaginare, ha portato via con sé gran parte del colore ancora umido, facendo tuttavia emergere il toner nero, scuro del sottofondo, con effetti davvero impressionanti, come si può evincere dalle figure sotto riportate. A volte sembra che si sia utilizzata la spatola per distribuire i colori, altre che i colori stessi siano stati spatolati o raschiati, con risultati simili al graffito (figura n. 4).

Nella figura n. 5, invece, le fotocopie sono state immerse nella trielina e successivamente adagiate, pressandole, su di un cartoncino, per ottenerne un'immagine più sbiadita (cosiddetta tecnica del "trasporto con trielina"). Successive applicazioni della stessa matrice sullo stesso cartoncino hanno prodotto immagini sempre più sbiadite dell'originale, sulle quali è stato poi applicato, con pennarelli Letraset, che tendono ad espandersi, un leggero strato di colore indaco chiaro.

Figure n. 3, 4 e 5 - Quadri della serie 'Canon' (manipolazione dell'obiettivo): rispettivamente tempera su compensato, tecnica mista su tela e trielina su cartoncino ruvido.

"Visual metamorphoses" appartiene in verità ad un tipo di pittura e di sperimentazione che potremmo definire "tradizionali", in quanto basate su tecniche e metodologie ancora prevalentemente manuali, ma in sé contiene i germi di una indagine tutta nuova, che prelude al mondo delle manipolazioni digitali e degli effetti speciali ottenibili attraverso l’uso intensivo e sistematico del computer. Tuttavia, per meglio chiarire le finalità del progetto, si osservino le figure n. 6, 7 e 8 in basso. Si presti attenzione soprattutto al tipo di "finitura" di volta in volta adottato.

Figure n. 6, 7 e 8 - Foto ravvicinate, con obiettivo macro. I primi due quadri sono incorniciati, per cui non è stato possibile eliminare il riflesso del vetro. Nella figura n. 6 la finitura è ottenuta mediante lievi pennellate di tempera acrilica; nella figura n. 7 la densità del colore e delle pennellate è decisamente più marcata; nella figura n. 8, infine, si punta alla "consistenza materica", con distribuzione del colore mediante spatola e coltello da tavolozza.

Come si evince dalle figure appena mostrate, lo "scopo precipuo" del progetto è, innanzitutto, quello di mettere a punto, attraverso la manipolazione delle immagini e dei colori, un solido nucleo di tecniche di base destinate a risolvere, in via definitiva e duratura (mediante un uso attento e innovativo dei 'materiali' e dei 'supporti'), tutte le principali problematiche e difficoltà connesse alla finitura dei quadri, cioè: il rilievo, lo spessore, la densità, la consistenza materica e, ancora, il tocco, la profondità, l'orientamento delle pennellate, la brillantezza dei colori, la scelta dei 'fissativi' e delle vernici trasparenti, e via di seguito.

Soltanto in un secondo momento si è intuito che quelle sperimentazioni, per quanto bizzarre potessero apparire, preludevano, con largo anticipo, alla manipolazione digitale delle immagini, così come oggi la conosciamo, attraverso la computergrafica e il ritocco fotografico.

 

Home    Inizio   

 

 

INNER LAYƐRS

Oltre l'apparenza

Gli Inner Layers rappresentano un punto di svolta persino più importante, per certi aspetti, delle "Visual extrapolations".

In quegli anni, infatti, iniziai a frequentare l’Istituto Europeo di Design (IED), specializzandomi in grafica e computergrafica. Quest’ultima stava muovendo i suoi primi passi ed erano appena usciti i primi Mac Classic.

Ma quel che più conta è che proprio in questo periodo imparai ad utilizzare per la prima volta quell’insieme di tecniche grafiche e progettuali che, di lì poco, mi avrebbero consentito finalmente di trasferire i miei piccoli collage (sinora diligentemente collezionati all’interno di "book fotografici"), su supporti di dimensioni maggiori.

Inoltre avevo scoperto Escher, un’autentica rivelazione. Mi resi subito conto che molte delle sue tecniche, per quanto apparentemente complesse, potevano facilmente essere applicate alla pittura, inclusi i "reticoli deformati" della tassellatura e della quadrettatura. Attraverso la quadrettatura, inoltre, sperimentai nuove possibilità. Ad esempio, nell’ingrandire una griglia, scoprivo dettagli che in precedenza mi erano sfuggiti, poiché difficili da cogliere quando si opera su scale molto ridotte. Alcuni di questi dettagli, poi, potevano essere interpretati o assunti essi stessi come quadri in nuce : alcuni perché già compiuti, persino perfetti nella loro asimmetrica semplicità, fatta di linee, forme e colori in equilibrio; altri perché vi si intravvedevano parti o frammenti di insiemi più grandi e complessi, composizioni non ancora formate, ma probabili, cioè suscettibili di ulteriori sviluppi. Sì, certo! mondi ancora da venire, da assemblare. Livelli (layers) da comporre, stratificare, mettere diligentemente su carta.

Figure n. 1, 2 e 3 - Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo: livelli di percezione nascosta e frammenti di realtà da decifrare.

Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo: la realtà si scompone incessantemente, in parti più piccole, frammenti che a loro volta possono combinarsi secondo modalità e geometrie non immediatamente riconoscibili, ma che il nostro occhio deve appunto gradatamente imparare a distinguere ed identificare, estrarre ed infine risemantizzare. Queste unità si intrecciano, confondono e sovrappongono di continuo, per cui sono difficili da individuare. Bisognerebbe passarle al setaccio, come quando si pelano gli strati di una cipolla o si scandagliano le sabbie di un fiume alla ricerca di frammenti d’oro. Questi strati li ho chiamati "layers", livelli, proprio perché i livelli di interpretazione e decodificazione della realtà sono molteplici e, soprattutto, stratificati. Li ho chiamati layers con riferimento anche ai layers della computergrafica (cito testualmente la definizione che ne viene data nella guida utente di Adobe Photoshop: I livelli di Photoshop sono come fogli lucidi sovrapposti. Attraverso le aree trasparenti di un livello potete vedere gli elementi dei livelli sottostanti. Potete spostare un livello per posizionarvi il contenuto, come fareste facendo scivolare un foglio lucido in una pila. Potete inoltre modificare l’opacità di un livello per rendere il contenuto semitrasparente.).

Il termine "inner" invece può avere diversi significati. In alcuni casi significa "recondito, nascosto", appunto perché questi livelli devono essere scoperti, esplorati e, di conseguenza, non sono facilmente accessibili ad un occhio inesperto e approssimativo: occorre una certa sensibilità artistica, occorre discernimento, addestramento e competenza. Ma "inner" in inglese significa anche "interiore", a sottolineare il fatto che per produrre arte è necessario anche un coinvolgimento interiore, un’attitudine tutta personale a vedere, nelle cose, elementi e particolari ("layers") che gli altri probabilmente non vedono e che la nostra arte deve pertanto essere in grado di "condurre a vedere".

Il progetto "Inner Layers" rappresenta un’ulteriore passo verso la manipolazione delle immagini, che ora non vengono più soltanto estratte dalla realtà e rielaborate mediante tecniche e procedimenti che potremmo definire "ibridi", inusuali, ma vengono indagate nell’intimità dei dettagli, alla ricerca di un senso e di un’intrinseca compiutezza estetica. Inoltre, per la prima volta i collage cominciano ad essere sostituti, in fase di progettazione, da composizioni interamente concepite e realizzate al computer. Infine, la grafica entra prepotentemente in gioco, andando a colmare, nella realizzazione delle opere finali, quelle lacune e quell’inesperienza che soltanto lo studio perseverante e metodico della pittura, con tutto il suo bagaglio di tecniche antiche e moderne, avrebbe potuto colmare, operando così una commistione di generi e "strumenti espressivi" che giustifica, non senza una ragione, l’appellativo di "arte ibrida" che si è voluto più volte teorizzare nel corso di questa trattazione e delle riflessioni introduttive.

 

Home    Inizio   

 

 

HØRIZONTAL PLŌŤS

Schemi orizzontali

Horizontal plots e il successivo "Vertical plots" costituiscono due progetti senz’altro meno impegnativi dei precedenti, se vogliamo considerarli dal punto di vista della sperimentazione e delle innovazioni tecniche introdotte. Ma non è cosi. "Horizontal plots" nasce da due esigenze:

  1. quella di produrre, una volta acquisita la padronanza delle tecniche di rasterizzazione e tassellatura, di cui abbiamo già parlato, quadri di dimensioni sempre maggiori, da poter esporre in una mostra o in una installazione;
  2. quella di dar vita a dei "percorsi visivi" da sviluppare lungo gallerie e corridoi, ma anche strade e parchi, secondo due diverse modalità:
    1. una modalità seriale, ovvero tanti quadri in successione, appartenenti ad uno stesso gruppo tematico, disposti in "serie", con lievi e spesso irrilevanti differenze (ad esempio nel colore o nello posizionamento dell’immagine o in base ad una determinata angolazione e inclinazione, o ancora, in base a particolari effetti artistici, es. solarizzazione, negativo, monocolore, ecc.);
    2. una modalità paesaggistica o monumentale, ovvero composizioni di dimensioni se non proprio gigantesche (che sono molto costose da realizzare, in termini di tempo e materiali utilizzati), comunque notevoli, disposte "orizzontalmente", in lunghezza, ad occupare idealmente e tematicamente, un’intera parete, un muro di cinta, un angolo di strada.

Figura n. 1 - Expo Wall, quadro di notevoli dimensioni appartenente alla 'modalità paesaggistica' (dim. 5 x 1 metri)

Alla modalità seriale appartengono composizioni in parte ispirate alla pop art, principalmente Wharol, in parte all’action painting, mentre al secondo gruppo appartengono (purtroppo) soltanto progetti che non hanno ancora avuto modo di essere trasferiti su supporti di grandi dimensioni, per cui sono fruibili, allo stato attuale, esclusivamente su carta o supporti di piccole dimensioni, ma la cui fonte di ispirazione è rappresentata, per ragioni facilmente comprensibili, dai murales, sia quelli di strada, che quelli esposti presso grandi gallerie d’arte.

Insomma il progetto "Horizontal plots" intende sperimentare, a conti fatti, proprio quel potenziale espressivo che, nelle riflessioni sull’arte ibrida, abbiamo individuato essere la valenza "decorativa" dell’arte (intesa come valenza di "arredo", non soltanto visivo, ma architettonico e urbano) nell’ambito di ... percorsi concettuali e spazio-temporali compositi.

 

Home    Inizio   

 

 

VERTICÁL PLŌŤS

Schemi verticali

Gli spazi e i percorsi della civiltà contemporanea riflettono, per grandi linee, le dinamiche e i processi di una globalizzazione che è innanzitutto mercantile e di conseguenza culturalmente indeterminata e per ciò stesso non identitaria. Non sono cioè né intrinsecamente concettuali, né tendono a commemorare significati, eventi o idee di una determinata cultura e/o coscienza storica. Abbiamo già parlato dei "non-luoghi" di Marc Augé, in cui prevale la misura dello standard, del consumatore anonimo, generico. I percorsi della globalizzazione sono di conseguenza studiati per il transito, per l’anonimato, mentre le piazze di un tempo era concepite per la socializzazione, la pausa, l’intrattenimento: fermarsi, confrontarsi, dialogare, esprimersi.

I Vertical Plots nascono dunque dall’esigenza di correggere, modificare, deviare, riorganizzare i percorsi, da semplici luoghi di transito passivo, a momenti di sosta consapevole, di riflessione, di pausa. Nasce così l’idea della verticalità come antitesi all’orizzontalità del transito e del movimento convulso. L’idea cioè di una verticalità solenne ed austera, come succedaneo della monumentalità, quella monumentalità che spesso, nelle piazze di un tempo, trovava la possibilità di esprimersi celebrando eventi ed evocando date, luoghi, persone, fatti, idee, convinzioni, lotte, identificazioni, valori, utopie.

Figura n. 1 - Trittico, quadri simbolici utilizzati come 'totem' (altezza 3 metri)

Le composizioni vengono sviluppate adesso non più in orizzontale, distese, coricate, ad accompagnare percorsi o a decorare pareti, ma in altezza, come totem simbolici, scale verso un piano d’esistenza più elevato, intimista. Un’elevazione che è raccoglimento, invocazione, tant’è che viene ripreso il concetto dei trittici medioevali, delle pale d’altare in legno. L’astrazione diventa ascesi. Tanto più la forma è astratta, pura, lineare, tanto più spinge verso l’alto, la commemorazione, la testimonianza.

 

Home    Inizio   

 

 

OßLIQUE CONVƐRGENCES

Convergenze inaspettate

Tecniche, metodi, approcci, soluzioni, strumenti, tutto sembra convergere verso una nuova e graduale padronanza espressiva e una maggiore consapevolezza dell’arte, delle sue potenzialità, ma anche dei suoi limiti e dei suoi codici. Arte o non arte, è come porsi una domanda inutile, priva di risposte e forse anche di significato. E come interrogarsi sul senso dell’esistenza. Esiste uno scopo oltre la vita? Esiste un destino? Le cose avvengono per caso oppure esiste un disegno prestabilito oltre la caducità delle cose stesse?

Niente, non esiste risposta, oppure ne esistono tante quanti sono i punti di vista soggettivi o le credenze cui aderiamo per fede o abitudine e che tuttavia non possono essere dimostrate, se non imponendo la propria opinione e pretendendo che tutti vi si uniformino, anche con la violenza. Ma sarebbe un mondo di pazzi e forse già lo è, lo è sempre stato.

Da appassionato della meditazione Zen, non posso che indicare l’universo con un gesto ampio della mano e dire: non porre la domanda, vivi in silenzio e lascia vivere. Sperimenta giorno per giorno la verità e non ti curare di coloro che infrangono le regole dell’armonia universale, perché l’universo ha le sue leggi e queste agiscono per vie latenti, sotterranee, invisibili. Sì, le cose avvengono e non sappiamo nemmeno perché.

L’attrazione per l’arte e la passione per lo Zen si sono pertanto fuse, nel fiume della vita. Tutto fluisce senza sosta, attimo per attimo, e non c’è distinzione alcuna fra arte e vita, così come non v’è distinzione alcuna fra dentro e fuori, coscienza e realtà. Il mondo va e viene e così pure le attività degli uomini e le creazioni di cui essi stessi vanno così fieri, creazioni a volte inutili, a volte persino arroganti e dannose. Ma questo fa parte di ciò che i buddhisti chiamano "attaccamento", "illusione", un misto di ambizione ed egocentrismo e desideri inappagati.

Man mano che ho appreso le "tecniche" che a poco a poco mi avrebbero consentito di realizzare quadri e composizioni sempre più grandi, man mano cioè che ho perfezionato il mio lavoro, traducendolo in realtà, attraverso opere e manufatti concreti, si è venuto a creare una sorta di continuum fra progettazione e realizzazione, fra elaborazione mentale e manualità, dentro e fuori.

Tutto infine diventa arte, vita; gli oggetti più banali si trasformano in fonte di ispirazione, in "inner layers" (cioè aspetti, stratificazioni della realtà o livelli che aspettano soltanto di essere scoperti e riconosciuti) e questi layers si espandono, secondo trame (plots) e proiezioni ora orizzontali ora verticali, per convergere al fine nel flusso ininterrotto della vita.

Se allora tutto può diventare elemento di ispirazione e, dunque, creazione artistica, cos’è la forma, cos’è l’estetica? Quali oggetti possono soddisfare il nostro naturale e tuttavia personalissimo gusto estetico o senso dell’arte? Non c’è risposta. A meno di non riconoscere che il nostro gusto estetico è soddisfatto in molti modi, potenzialmente infiniti, alcuni dei quali derivano presumibilmente dall’esperienza personale, altri dai riferimenti culturali, dai libri, da tutto ciò che abbiamo appreso attraverso lo studio e i mass media. A volte il senso dell’arte può essere soddisfatto in maniera del tutto imprevista, fortuita. Basta un raggio di sole, una brezza leggera, un’eco lontana, e il mondo cambia improvvisamente prospettiva, aspetto. Una cosa così semplice, naturale, fortuita.

Sono queste le "convergenze oblique" (Oblique convergences): tutto converge verso un baricentro, un punto d’equilibrio, di armonia personale e universale, secondo modalità non previste, sconosciute, appunto oblique. Non è un procedimento lineare, logico, prestabilito, ma trasversale, polivalente. Questa è la sua coerenza: il tutto, l’olos (όλος).

Così mi capitò di scoprire, fra un pensiero e l’altro, che alcuni oggetti gettati lì per caso sulla scrivania, risultavano essere compositivamente (ed esteticamente) più interessanti di altri che avrei potuto assemblare faticosamente, dopo ore e ore di lavoro, al computer o su tela. Cominciai quindi, quasi per gioco, ad interessarmi di "algoritmi pittorici", essendo di professione un informatico. Scrissi macro e applicazioni che consentivano di generare immagini e colori in modo del tutto casuale, con risultati non di rado sconcertanti, imprevedibili.

Il laboratorio minimalista si era forse trasformato in factory?

No, aveva semplicemente allargato i propri orizzonti e arricchito le proprie potenzialità espressive. Ma il metodo e lo scopo, esistenziale ancor prima che estetico, continuavano ad essere quelli dello zen, della pratica e della disciplina zen.

Sì certo, procedendo secondo modalità "stocastiche" (che nel gergo informatico sono dette "random"), non potevo fare a meno di chiedermi se tutto ciò fosse dopotutto artisticamente corretto e intellettualmente onesto.

Figure n. 1, 2 e 3 - La prima immagine è stata generata da un algoritmo matematico; la seconda immagine. al contrario. viene deformata da parametri random; nel terzo caso, infine, l'algoritmo modifica i colori.


Figure 4 e 5 - Algoritmo complesso: viene applicata una tecnica cubista (nell'immagine n. 4 i colori sono poi modificati in modo casuale).

Ma il mondo cambia e un artista che intenda produrre Arte al giorno d’oggi, deve necessariamente conoscere - a mio avviso - l’informatica. L’informatica fa parte, con i suoi pregi e i suoi difetti, del bagaglio conoscitivo dell’uomo del terzo millennio e naturalmente non esclude, come abbiamo avuto modo di dimostrare, né la manualità, né l’utilizzo di tecniche e metodologie del passato.

Non potete immaginare pertanto lo stupore col quale, a quasi due anni di distanza da quegli esperimenti, venni a conoscenza della pubblicazione di "Reflection", il nuovo album di Brian Eno. E’ un’opera interamente basata su di un’intuizione sostanzialmente simile alla mia, con la differenza che, in questo caso, si tratta di algoritmi musicali e non pittorici. Una musica sempre nuova, mai uguale, che non stanca, che non si ripete.

Di fatto Eno ripristina l’irripetibilità, l’unicità. Ma non nei termini che avrebbe desiderato Benjamin, piuttosto nei termini tipici della filosofia zen, per la quale ogni momento è assolutamente unico ed irripetibile, diverso da tutti gli altri, ed è in questo suo attuarsi "qui ed ora" che risiede l’illuminazione, il Satori (Risveglio).

Probabilmente il futuro dell’arte è destinato a sperimentare nuovi orizzonti, nulla sarà più come prima; siamo già vertiginosamente proiettati verso il futuro ed occorre adeguarvisi, per non perire. Così apro gli occhi e mi dico, anche oggi è un buon giorno, per continuare a lavorare, per continuare a vivere. Le cose sono quelle che sono e anche noi siamo quelli che siamo. E’ l’unico modo di riprendersi il cielo e la libertà.

Se vuoi raggiungere la vera Via, al di là di ogni dubbio, mettiti nella stessa libertà che ha il cielo. Tu non lo definisci né buono né non-buono.

(Nansen)

 

Home    Inizio    Stampa   

×

Cerca con Wikipedia

×

Max Ernst

Pittore: tedesco

Max Ernst è stato un pittore e scultore tedesco naturalizzato francese. Viene considerato uno dei maggiori esponenti del surrealismo. (vedi:  Surrealismo).

Opere principali:  Oedipus Rex, Foresta imbalsamata, La vestizione della sposa, L'éléphant Célèbes (quadri), ecc.

×

Henri Matisse

Pittore, incisore: francese

Henri-Émile-Benoît Matisse è stato un pittore, incisore, illustratore e scultore francese. Matisse è uno dei più noti artisti del XX secolo, esponente di maggior spicco della corrente artistica dei Fauves. (vedi:  Fauvismo).

Opere principali:  Finestra aperta, Gioia di vivere, La danza, Musica, Pesci rossi, Jazz (quadri), ecc.

×

Pop Art

Movimento artistico.

Corrente artistica affermatasi negli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso, e poi diffusasi in Europa, basata sulla riproduzione esasperata e deformata, in chiave critica e ironica, dei materiali e dei simboli della civiltà dei consumi (immagini pubblicitarie, fumetti, oggetti d'uso comune).

Autori principali:  Andy Wharol, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, George Segal, ecc.

×

Surrealismo

Movimento artistico.

Movimento letterario e artistico d'avanguardia, sorto in Francia dopo la prima guerra mondiale, che, proponendosi di esprimere il funzionamento reale del pensiero al di fuori d'ogni controllo esercitato dalla ragione e fuori d'ogni preoccupazione estetica o morale, s'ispira all'inconscio dell'uomo, ritenuto come il grado più profondo e più vero della realtà, e di conseguenza a tutte le manifestazioni di questo (sogni, stati sonnambolici, trance medianica, alienazione mentale).

Autori principali:  Hans Arp, Luis Buñuel, Salvador Dalí, Max Ernst, René Magritte, Joan Miró, Man Ray, Yves Tanguy, ecc. (arti visive) - Guillaume Apollinaire, Louis Aragon, André Breton, Paul Éluard, Jacques Prévert, Tristan Tzara, ecc. (letteratura)