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FRANK MACYOUCH E L'ARTE DELL' ASSEMßLAGGIO

Una premessa indispensabile

Raggiungere un obiettivo col minor sforzo possibile è tutt'altro che una banalità: l'atto creativo nella sua complessità non si può pianificare del tutto; l'arte è un procedimento articolato, che coinvolge diversi aspetti cognitivi, l'intuizione, l'immaginazione, il gusto estetico, l'irrazionalità, l'inconscio e la sfera onirica.

In un'epoca di trasformazioni globali, caratterizzata da un'accelerazione tecnologica senza precedenti, da un capovolgimento delle prospettive culturali ed epistemologiche e da un altrettanto rapido mutamento antropologico, culture e società un tempo distanti, ora si integrano e interagiscono in tempo reale con effetti a volte imprevedibili, sull'arte e sulla creatività. Internet è il Luogo, Internet è lo Strumento, la "rete intelligente", dove tutto accade.

Il cyberspazio è come la volta celeste sulla quale un tempo i filosofi e gli astronomi collocavano le loro rappresentazioni simboliche dell’universo, sotto forma di costellazioni e segni zodiacali. Oggi le nuove generazioni di cybernauti disegnano su di esso le semiotiche della contemporaneità, un immenso libro del sapere, un ipertesto senza soluzione di continuità, senza limiti oggettivi di tempo e di spazio.

La complessità dalla rete non è rappresentata soltanto da quell’immenso groviglio di fili, memorie, cavi, circuiti e supporti materiali chiamato hardware, quanto piuttosto dallo scenario effettivo di una società drammaticamente trasformata dalle tecnologie digitali.

Un accrescimento dei punti di vista, dunque, e delle prospettive globali, un sovraccarico informazionale, un immenso taglia, copia e incolla; l'arte di citare e reinventare, di riprodurre luoghi ed eventi, un'arte che diventa infinita, un crogiolo di possibilità.

Ed è in quest'ottica di mutamento incessante e proliferazione spasmodica, per quanto inevitabile, che si finisce con lo scoprire e praticare l'arte dell'assemblaggio (vedi assemblage). L'artista contemporaneo si serve di strumenti globali, in un contesto globale: è un po' scrittore, un po' grafico, un po' pittore. Pratica il collage e lo trasforma in "metodo compositivo". Assembla pezzi di realtà e li contestualizza in una prospettiva nuova, a metà strada fra arte e non-arte. Utilizza inoltre tecniche di confine, fra realtà e virtualità, e se ne serve disinvoltamente, per realizzare, o meglio riprodurre, su supporto "analogico", il risultato di progetti "digitali"; in altre parole sfrutta i nuovi media, mantenendo tuttavia vivo il senso dell'improvvisazione artistica e della manualità, pur operando in un ottica prevalentemente digitale.

La rete rende possibile da un lato la moltiplicazione e la condivisione del sapere e, quindi, della creatività; dall'altro la frammentazione, il relativismo, la smaterializzazione.

Volendo parafrasare il filosofo francese Pierre Lévy, il cyberspazio non è soltanto un mondo di simulazioni, fibre ottiche e circuiti integrati, quanto innanzitutto un luogo di interazione sociale, di rappresentazioni mentali e culturali, di ridefinizione dello spazio-tempo, di creazione di nuove identità e significati: è in definitiva uno spazio di produzione del sapere (testualmente ...un'intelligenza distribuita ovunque, valorizzata in maniera continua, coordinata e mobilitata in tempo reale. - Pierre Lévy, L'intelligence collective: Pour une anthropologie du cyberespace.)


Inverted cities

Visual extrapolations

Tecnica mista su tela

Four squares

Vertical plots

Tecnica mista su cartoncino

Slight walls

Inner layers

Tecnica mista su cartoncino

Tentacular antennas

Vertical plots

Tecnica mista su tela

Quali che siano le conclusioni socio-politiche, economiche e culturali che se ne possono trarre, conclusioni che inevitabilmente si intrecciano con gli interessi non sempre trasparenti del capitalismo globale e con gli esperimenti di destrutturazione / ristrutturazione della geografia socio-politica internazionale, in un contesto di profonda trasformazione del mercato del lavoro e dei processi produttivi, la cultura e di conseguenza l'arte ne vengono profondamente influenzate, trasformate, in alcuni casi persino delegittimate. Poiché non sempre i cambiamenti sono da considerarsi positivi, nel senso ottimista e vagamente utopico teorizzato da Lévy ne L'intelligenza collettiva.

A volte prevale un senso di smarrimento, di sovraccarico informazionale, che svuota di significato qualsiasi approccio critico e costruttivo all'arte, arte intesa altresì come strumento di espressione libero e indipendente, in quanto radicato nella cultura e nella socialità.

In un simile contesto sarebbero auspicabili nuove forme di sperimentazione artistica che tengano conto del tessuto sociale e culturale, insomma delle dinamiche politiche ed economiche (globali e non), entro le quali si va ad operare, in modo da attuare sinergie che consentano un più equilibrato approccio all'arte e una gestione critica delle risorse e delle metodologie legate all'insegnamento e alla divulgazione dell'arte, in modo da mantenere vivo l'interesse per un'arte che non sia soltanto espressione passiva delle logiche di mercato e nemmeno vuota sperimentazione di stili e tendenze dettate dalla globalizzazione e dalla cultura di massa, ma momento di aggregazione identitaria e di riappropriazione del territorio (urbano ed extraurbano).

Ma un simile approccio esulerebbe dagli scopi specifici di questa trattazione, che non è indirizzata, come si potrebbe supporre, agli addetti ai lavori (artisti di professione, critici ed advisor, galleristi, amministratori, educatori, ecc.), quanto piuttosto all'artista che opera, per hobby o passione, in un contesto individuale e che, di conseguenza, si trova ad affrontare problematiche e soluzioni che soltanto in minima parte possono ascriversi a quello che potremmo chiamare "un approccio professionale all'arte".

E' difficile districarsi fra una infinità di proposte culturali, di riferimenti, di contesti e di strumenti di lavoro; l'artista non potrà che utilizzarne una piccola parte e, laddove lo farà, dovrà inventarsi un suo proprio metodo. Contrariamente all'artista del passato, che utilizzava le tecniche in funzione dell'opera d'arte che aveva in mente, l'artista contemporaneo non potrà che partire da un qualsiasi punto del gigantesco puzzle della conoscenza, per arrivare a realizzare, in maniera peraltro provvisoria, soltanto una parte di quella che potremmo definire la "sua visione".

L'arte diventa una forma di scommessa, d’esercizio personale, di ricerca indipendente, che le nuove tecnologie consentono di condividere con altri e che può avvalersi di più strumenti contemporaneamente (digitali e non), procedendo per stratificazioni (layers) incrementali e modulari.

Se i bambini imparano per gioco, gli adulti apprendono attraverso l'esercizio, la pratica, la sperimentazione, l'intuizione, la trasformazione, la metamorfosi, il riuso, l'assemblaggio. E in tutto questo devono attingere costantemente a quella che potremmo definire una sorta di consapevolezza creativa, che fa parte dell'esperienza, senza la quale si rischia di cadere - proprio a causa della sovrabbondanza di strumenti e proposte che ci provengono dal mondo esterno dei media e della rete - nella consuetudine del dejà vu, ovvero, la banalità del remake.

L'assemblaggio utilizza al contrario l'esperienza, ha il senso dell'arte, dell'estetica; è dunque consapevole e intenzionale, in altre parole "creativo".

 

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Il CONCETTO DI ARTE IßRIDA

Ars Hybrida

Brian Eno, parlando della propria arte, la musica, sosteneva di essere un artigiano, un "non-musicista", più propriamente di ispirarsi al concetto di artigianato modulare:

« [...] io prima disegno la musica, quelli che chiamo mondi di tre minuti, poi mi metto a cercare delle parole, stando attento a che non siano esplicite ma piuttosto allusive. Devo farci molta attenzione: le parole rendono la musica più piccola. La imprigionano, le tolgono potere. L'arte nel nostro tempo è un campo in cui, per tracciare un raffronto con la scienza, siamo ancora a un'epoca pre-Darwiniana. Siamo fermi a vecchie categorie e gerarchie, a classificazioni obsolete. Occorre trovare un sistema che riconnetta tutti gli elementi in modo nuovo: come nel pensiero laterale di Edward De Bono ».

Effettivamente, in un'epoca di complessità culturale e sovraccarico informazionale, questo tipo di approccio potrebbe rivelarsi vincente e produttivo in campo artistico.

Se ciascun problema può essere risolto in modi differenti o essere visto da angolazioni diverse, non necessariamente concomitanti, i percorsi a loro volta non sono mai sequenziali, ma si adattano alla realtà. Dunque le strategie non sono pianificabili, ma puntano a soluzioni diversificate, alternative, ugualmente valide e praticabili (cd. strategie oblique): nuove idee, nuove intuizioni, spunti ed esplorazioni.

In altre parole, applicando questo concetto all'arte, si può dire che le opere d'arte non vengono mai fuori come l'artista se le aspetta; ma questo, lungi dall'essere una limitazione, dovrebbe al contrario rappresentare un obiettivo per l'artista che desidera effettivamente sperimentare soluzioni alternative. L'arte può essere teorizzata, ma non imbrigliata entro logiche costrittive. Sono a volte proprio i risultati imprevisti a rendere l'opera d'arte un atto di libera e consapevole creatività.


Autumn colors

Tecnica mista su tela, marker ad acqua e pastelli ad olio.

Colorful desks

Tecnica mista su cartoncino, marker ad acqua e tempera.

Bookshelf

Tecnica mista su tela, colori miscelati e diluiti.

Nell'epoca della riproducibilità digitale dell'opera d'arte  ("riproducibilità tecnica" secondo Walter Benjamin) tutto è a disposizione di tutti e chiunque può, che ne sia consapevole o meno, intraprendere un'esperienza di tipo artistico, usufruendo delle nuove tecnologie digitali che la rete e la collettività dei cybernauti gli mettono a disposizione; l'abbondanza di strumenti, di tecniche, di scuole di pensiero e orientamenti, il proliferare di nuove forme d'arte, spesso atipiche, eventi, mode e tendenze, hanno generato un contesto creativo in cui diventa sempre più difficile distinguere l'arte dal remake, il vero dal falso. Tutto sembra già essere stato inventato, detto, prodotto, teorizzato: dal "ferro da stiro" di Man Ray alle "scatole di pomodoro" di Andy Wharol; dalle "tele lacerate" di Lucio Fontana agli "happening" della Performance Art; dai "monumenti impacchettati" di Christo agli "audiovisivi sinestetici" di Otolab (un collettivo di artisti italiani che sperimenta nell'ambito dell'arte digitale e della musica elettronica). Allora non resta altro probabilmente che "reinventare", secondo un "progetto aperto" e, per definizione, collettivo: un progetto di diffusione sociale della creatività.

Diventeremo tutti artisti? In un certo senso si e in un certo senso no. Il cyberspazio consente ad un numero sempre crescente di persone di introdurre elementi di creatività nella società; ma questo non vuol dire sminuire le competenze individuali o "specialistiche" variamente acquisite nel corso della vita, giacché ciascuna di quelle competenze sarà successivamente chiamata a ridisegnare il cyberspazio, secondo modalità diverse e imprevedibili, in un contesto di interculturalità, legato a situazioni di incontro e scambio fra culture.

Potremmo utilizzare il termine di ibridismo per definire appunto quelle situazioni in cui vi sia una mescolanza e un incontro di elementi difformi, ogni volta che una o più culture, una o più tecnologie, una o più concezioni di vita, entrano in contatto tra loro, producendo risultati ibridi, ovvero "sincretici", tanto a livello artistico e letterario, quanto linguistico e sociale.

Teoria e pratica, arte e tecnica (l'insieme delle tecniche utilizzate per produrre una determinata opera d'arte), sono coestensive l'una dell'altra. Di conseguenza l'ibridismo coinvolge anche le tecniche, non soltanto i segni, gli oggetti o le rappresentazioni e, con riferimento ai media, diventa sinonimo di "contaminazione" . Cinema, teatro, danza, letteratura, architettura, musica e spettacolo, sono complementari, sconfinano l'uno nell'altro, si contaminano a vicenda.

 

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MODELLI DI RIFERIMENTØ

Fra modernità e post-modernità

I modelli di riferimento sono tanto numerosi quanto sono gli stimoli che da ogni parte la società, la cultura, i media forniscono quotidianamente all'intelligenza ed alla percezione dell'artista, il quale opera in un'ottica di condivisione e allargamento della conoscenza, piuttosto che di isolamento contemplativo. I riferimenti costituiscono la sorgente di ogni ispirazione e, dunque, il terreno fertile di moltiplicazione delle esperienze e, in parallelo, degli strumenti (tecnici e cognitivi) necessari alla realizzazione artistica.

Il contributo delle avanguardie artistiche del novecento, con tutti i suoi sviluppi, più o meno recenti, passando per la pop-art e l'action painting degli anni '60, la transavanguardia e il concettualismo, la body art e l'ambient art, fino agli epigoni della digital art e della "postmedialità", è indubbiamente centrale nell'arte contemporanea, moderna e post-moderna, così come centrale è l'assunto che l’attività dell’artista possa essere concepita prevalentemente come un'attività di ricerca, approfondimento ed esplorazione dell’arte, o meglio della "natura dell'arte", indipendente pertanto sia dalle produzioni specifiche che dagli strumenti utilizzati, sia dalle tecniche che dai media.

In Art after philosophy del 1969, Joseph Kosuth osservava acutamente, e con largo anticipo sui tempi, che il medium si è trasformato da "supporto dell’opera" a "spazio di possibilità", ovvero un insieme di principi operativi e concettuali, simile ad una "matrice".

L'arte digitale contemporanea opera proprio in questo "spazio di possibilità", si auto-riproduce grazie a questa "matrice", che è una matrice di tecniche, strumenti, supporti, materiali e media; ma anche e soprattutto di scuole e principi, teorie e movimenti, avanguardie, eventi, manifestazioni, modelli di riferimento: l'arte come ideale e l'arte come storia, come "testimonianza". L'arte come flusso.

L'artista digitale che utilizza un software di manipolazione delle immagini come Photoshop (che qui citiamo per la sua popolarità), potrà facilmente accedere ad una ricca palette di strumenti da disegno (pennelli, matite, markers, aerografi, ecc.) o di effetti speciali (olio, acquerello, spatola, carboncino, gouache, sfumato, mosaico, ecc.), ma basta sbirciare un po' fra i menu dell'applicazione per scoprire ad esempio effetti i cui nomi sono, non a caso, un evidente riferimento alla storia dell'arte e delle sue tecniche: impressionista, cubista, divisionista, ecc.

Self-propelled Lights. Tecnica mista su tela: marker ad acqua, tempera, pastelli ad olio.

Con un po' di pratica è possibile movimentare un'immagine fino ad imprimerle il dinamismo di un quadro futurista o il tratto spigoloso ed energico delle pennellate di Van Gogh; è possibile frammentarla in punti così densi e sottili da ricordare un dipinto di Seraut; altre immagini potranno essere deformate, sullo stile di Munch, ed altre ancora "solarizzate", ottenendo colori molto simili a quelli 'psichedelici' delle tele di Wharol; o si potrà giocare sui chiaroscuri e la profondità, generando, come in Edward Hopper, paesaggi dilatati, senza tempo, metafisici ed iperrealistici.

Il risultato sarà dunque determinato dal particolare tipo di approccio dell'artista alla pittura, dal desiderio di comunicare, nonché dall'esperienza e dalla cultura maturate nel corso degli anni, frutto di ricerche e investigazioni personali sull'arte e la natura dell'arte; sarà il frutto di una predisposizione individuale, di una sensibilità interiore, di una naturale e istintiva "empatia" verso alcuni artisti e/o movimenti piuttosto che altri. Tutto questo sarà "materia viva", fonte di ispirazione, modello di riferimento, energia che l'artista immetterà nel procedimento creativo: ogni artista combinerà poi questo enorme potenziale creativo secondo gusti e modalità diverse, più o meno originali, più o meno innovative, in altre parole, secondo le modalità tipiche dell'arte dell'assemblaggio e/o artigianato modulare di cui si è già parlato.

Di conseguenza, il processo creativo che, con tecniche e strumenti eterogenei, a partire dal "progetto digitale", trasferisce l'idea originale (prototipo) su supporti fisici di diverso spessore e consistenza materica, dalla tela al cartoncino al vetro alla ceramica, ha una valenza a ben vedere anche "decorativa" e, nel momento in cui può essere trasferito o materialmente inserito nell'ambito di percorsi concettuali e/o spazio-temporali "compositi", ne assume intrinsecamente anche una di "arredo" (non soltanto visivo, ma architettonico, urbano); dunque l'elemento decorativo dell'opera d'arte così concepita, dal layout alla realizzazione pratica (materica), fa sì che l'opera d'arte stessa possa prestarsi ad un uso polivalente: come elemento d'attrazione, complementare all'arredo, o come demarcatore di spazi e itinerari semantici (es. installazioni), composti da uno o più moduli, in cui l'elemento evocativo (semiotico) sia prevalente su quello decorativo. Dunque i confini fra pittura, design, moda, illustrazione, architettura, scultura, grafica, scrittura, ecc. man mano si indeboliscono e si confondono. Arte e non arte, sperimentazione e canone: tutto concorre allo scopo.

Qualunque significato o valenza si voglia attribuire all'opera d'arte così concepita, l'approccio digitale è comunque parte integrante, persino centrale, di tutto il processo creativo: l'artista attinge ispirazione dalla realtà (esterna) e dal subconscio (che crea le associazioni, i nessi, fra i vari aspetti della realtà) e la riversa sul supporto fisico (output). Coglie le strutture, visibili e invisibili della realtà, le geometrie nascoste, gli strati (layers), che compongono lo spazio circostante, e li assembla insieme.

Si può ben comprendere come il collage, praticato da artisti come Max Ernst e Matisse, non sia affatto estraneo, come esperienza, al procedimento dell'assemblaggio: v'è infatti una fase iniziale, cosiddetta di "progettazione", seguita da uno stadio intermedio, di "manipolazione delle immagini" e, infine, v'è la trasposizione finale del progetto su supporto fisico ("assemblaggio delle parti"). Matisse intuì le potenzialità del colore, i suoi collage trasmettevano l'energia del colore, il dinamismo astratto del colore. Max Ernst, al contrario, intuì le potenzialità della forma, più precisamente della forma inconscia che possono assumere le cose a seconda di come le osserviamo, le contestualizziamo o le disponiamo insieme; i suoi collage sono come racconti, "romanzi-collage". Ma Max Ernst si spinse oltre, le sue tecniche costituiscono ancora oggi un esempio di come si possano intuire, dietro la realtà, forme latenti e impercettibili, che assumono significati inconsueti, che si dispongono lungo linee evanescenti, percorsi ambigui, configurazioni stravaganti e misteriose, che egli riuscì a far emergere dal nulla con la tecnica del "frottage", abbinata sapientemente al collage e al dripping (1).

Analogamente, il décollage può essere utilizzato come procedimento opposto al collage: invece di aggiungere elementi alla composizione, se ne sottraggono via via alcune parti, decontestualizzandole, isolandole e privandole di qualsiasi attinenza al significato originario. La parte così isolata diventa qualcos'altro, un'opera d'arte a sé stante.

Per l'arte dell'assemblaggio, pertanto, sono di estrema importanza le tecniche della Pop Art, non senza un motivo:

  1. la Pop Art adotta tecniche "ibride", molte delle quali sono attinte dal mondo delle arti grafiche ancor prima che pittoriche, e quindi ben si adattano ad essere utilizzate nell'ambito di procedimenti creativi cosiddetti "in progress", cioè per sovrapposizione (di fasi) e combinazione (di elementi), dalla progettazione al layout alla realizzazione finale;

  2. la Pop Art è riuscita a risolvere brillantemente il problema della riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, utilizzando un linguaggio tanto semplice quanto innovativo: il linguaggio della società dei consumi, della quotidianità, dei mass media e della pubblicità, che è fatto di "immagini";

  3. ha manipolato dunque le immagini attraverso tecniche altrettanto semplici quanto efficaci: il collage, l'assemblage, il ritocco fotografico, la riproduzione seriale.

Prima della pop art, soltanto il dadaismo e Marcel Duchamp avevano messo in discussione il concetto di opera d'arte e di canone estetico.

Ma Wharol è andato oltre e ha reso in qualche modo obsolete sia le intuizioni di Benjamin che l'insegnamento di Duchamp. Benjamin aveva giustamente intuito che la "riproducibilità tecnica dell'opera d'arte" era causa del suo stesso declino, cioè di quella perdita di status che lui stesso chiamava "aura". L'autorevolezza di un'opera d'arte, in sostanza, è determinata dalla sua unicità e irripetibilità, mentre l'industria e la cultura di massa demoliscono inevitabilmente questa unicità, anzi pongono in essere uno scontro dialettico fra unicità e serialità, che mette in crisi il concetto stesso di arte e di valore artistico. Duchamp tentò di risolvere il problema rendendo unici, con un'operazione inversa, gli "oggetti seriali" e d'uso quotidiano, elevandoli al rango di opere d'arte. Firmò infatti un orinatoio e lo espose provocatoriamente con il titolo di "Fontana". Ma questo procedimento, chiamato "ready made", aveva in realtà una valenza distruttrice, tendeva a distruggere l'arte, non a resuscitarla. Duchamp, da buon dadaista qual era, intendeva infatti distruggere l'arte, l'arte precostituita, l'arte come istituzione. Ma questo ovviamente non risolveva lo scontro dialettico in atto fra "unicità" dell'opera d'arte e "serialità" della produzione.


Water reflections

Vertical plots

Tecnica mista su tela: tempera, acrilici e pastelli ad olio.

Turbo machine

Horizontal plots

Tecnica mista su cartoncino: marker ad acqua e venice.

Plastic umbrellas

Inner Layers

Tecnica mista su cartoncino: marker ad acqua.

On the bridge

Visual metamorphoses

Tecnica mista su tela: tempera e matite colorate.

Estremizzando il pensiero di Duchamp, infatti, si correva il rischio di intendere qualsiasi cosa fosse esposta in un museo o in una galleria, come "opera d'arte". In questo modo il problema veniva semplicemente spostato su di un altro piano, quello del "contesto". In altri termini, ci si potrebbe domandare: se una opera d'arte fosse esposta ad esempio al di fuori del proprio "contesto museale", la si potrebbe altrettanto definire opera d'arte? e se un qualsiasi oggetto d'uso quotidiano, ad esempio un televisore, fosse esposto in un museo, lo si potrebbe definire un'opera d'arte? e perché?

Sono equivoci che hanno pesantemente condizionato ad esempio l'"arte concettuale" del dopoguerra. Brian Sewell, uno dei più acuti critici d'arte contemporanea, ha più volte ironizzato sull'arte concettuale, dicendo che appunto: Più frequentiamo le mostre d’arte moderna, più tutto sembra assomigliare a un’opera d’arte, compresi la sedia dell’addetto alla sorveglianza e l’estintore.

Al contrario, Wharol e la Pop Art riuscirono a dimostrare che arte e non arte, unicità e serialità, non sono necessariamente antitetici, ma possono evolversi su binari paralleli, non conflittuali. L'oggetto d'arte è in fondo il risultato di un procedimento. Questo procedimento parte da un'idea, da un prototipo astratto e soggettivo, per poi approdare ad un risultato concreto, oggettivo: un manufatto artistico, che può essere un dipinto o una sedia o un oggetto di design, in pratica un oggetto materiale, non importa in che modo sia stato realizzato, se con metodi industriali o artigianali. Wharol chiama non a caso il proprio laboratorio artistico: "The Factory".

Quando Marcel Duchamp nel 1919 disegna baffi e pizzetto su una riproduzione della Monna Lisa di Leonardo, ribattezzandola Monna Lisa di L.H.O.O.Q., il suo tipo di intervento è da considerarsi sostanzialmente "semantico" (egli produce nuova arte risemantizzando un'opera d'arte già esistente, per l'esattezza una sua "copia"). Quando invece Wharol nel 1962 disegna per la prima volta i barattoli di pomodoro Campbells, esponendoli alla Ferus Gallery di Los Angeles, il dualismo "arte-non arte" è già superato, cancellato d'un colpo! L'intera questione è per Wharol una "non-questione". Il più seriale dei prodotti, una scatola di pomodori, una scatola fra tante, che possono essere migliaia, milioni, tutte uguali, diventa improvvisamente qualcosa di "unico" e irripetibile: ecco compiuto il miracolo, ecco l'opera d'arte servita su di un piatto di patatine e pop-corn, a portata di tutti! Ecco l'arte di massa! I pomodori Campbells di Wharol sono dunque "unici", comunque li si voglia considerare: su di un cartellone pubblicitario come in un contesto museale, su di una tela come in uno scaffale di cucina. Furono gettate in tal modo le basi per una maggiore diffusione sociale dell'opera d'arte, riuscendo nondimeno a conciliare la libertà soggettiva dell'artista, con le esigenze del consumo di massa e l'oggettività (spesso alienante) della produzione seriale.

La cosa più bella di Tokio è McDonald's. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald's. La cosa più bella di Firenze è McDonald's. Pechino e Mosca non hanno ancora nulla di bello., ma soprattutto, Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti., sono affermazioni in un certo senso profetiche, se guardiamo all'attuale diffusione di Internet e dei 'social media': chi non ha mai postato una propria foto su Instagram?.

La "Pop Art" va dunque oltre Duchamp, l'arte concettuale e Fluxus, il movimento nato dalle costole dell'arte concettuale, che per primo tentò di riformulare l'arte in maniera "aperta", facendola sconfinare nel quotidiano, ovverosia nel "flusso" (fluxus) della vita di tutti i giorni. D'un balzo vengono superati modernismo e post-modernismo: se la pubblicità televisiva entra nelle case, ora l'arte entra nella pubblicità, nel quotidiano, nella serialità.

Questo naturalmente non significa che la Pop Art sia diventata, come per incanto e d'improvviso, il canone di riferimento cui tutti avrebbero dovuto adeguarsi d'ora innanzi. Le cose non stanno esattamente così, né stanno mai tutte da una parte. Diciamo che ogni fenomeno, per quanto innovativo possa essere, ha una sua curva ascendente, seguita poi da una curva discendente, che gli consente di continuare ad evolversi autonomamente nel corso degli anni (a volte anche dei secoli), interagendo con altri fenomeni, in un gioco ad incastri, dove ciascun elemento può essere considerato coestensivo dell'altro, dove il passato sopravvive nel presente e il presente porta in seno gli strascichi del passato o le innovazioni del futuro, insomma, una serie di scatole cinesi che si autoalimentano l'un l'altra, consentendo all'arte di sopravvivere e autorigenerarsi e, in sostanza, di continuare ad essere quello che è.

Allo stesso modo l'arte concettuale sembra godere di una grande vitalità, più di quanto si possa immaginare, probabilmente proprio a causa di quella perdita di status dell'opera d'arte, cui si è accennato, che ha inevitabilmente spostato il baricentro della creazione artistica verso il concettuale e altre forme di espressione che, come l'installazione o la performance, sono state concepite proprio per compensare questa perdita di status ed essere fruite "hic et nunc", come direbbe Benjamin, in un contesto di esclusività, che restituisca loro unicità e irripetibilità (2).

Che l’invenzione della fotografia sia all’origine dall’impressionismo e delle sue straordinarie innovazioni tecniche ed espressive, non dovrebbe affatto stupirci. La forma, il volume, gli spazi, i chiaroscuri e le ombre possono essere infatti riprodotti con gran precisione dalla fotografia; alla pittura, invece, sembrano riservate altre strade. Nasce quindi l’esigenza di trovare nuove tecniche espressive, di cogliere aspetti dell’esistenza e della realtà che normalmente sfuggirebbero tanto all’occhio umano quanto alla macchina fotografica. Soltanto i grandi maestri possono adempiere a questo scopo, essendo in grado di oltrepassare, con la loro sensibilità, l’apparenza delle cose. Così si utilizzano i colori, le pennellate, le sfumature, ecc. per riprodurre la vita stessa, piena di luce, di riflessi, di guizzi improvvisi; un turbinio di sensazioni fugaci, senza tempo, impressioni vaghe, sospese fra il tutto e il nulla, l’attimo e l’eternità. La pittura di Van Gogh nasce insomma dall’esigenza di superare, col suo impeto, la staticità della fotografia, riappropriandosi, attraverso un vortice di colori, del dinamismo interiore dell’anima.

Allo stesso modo, l’invenzione del cinema sposta l’attenzione degli spettatori verso l’aspetto cinetico dell’arte, il movimento. Cos’è il futurismo, visto con gli occhi di un Balla o di un Boccioni, se non il tentativo di rappresentare corpi e situazioni in movimento, come in un film, in un cortometraggio? Cos’è il cubismo di Braque e Picasso, se non il tentativo di descrivere la realtà da angolazioni diverse? In questo modo, destra e sinistra, alto e basso, dentro e fuori, sono rappresentati simultaneamente, secondo modalità che, al giorno d’oggi, potremmo definire "tridimensionali".

L’avvento di nuove tecnologie come il cinema e la fotografia è insomma all’origine di quella straordinaria stagione dell’arte che, a partire dall’impressionismo e dal divisionismo, ha condotto al modernismo e alle avanguardie storiche del ‘900. E non poteva essere altrimenti. La "riproducibilità tecnica" dell’opera d’arte ha definitivamente spostato, infatti, l‘asse della creazione artistica dal realismo all’astrattismo e, mediante nuove forme espressive, come l’installazione, la performance e i percorsi visivi multimediali, verso il concettualismo. L’idea di "riproducibilità tecnica" contempla in realtà una pluralità di mezzi espressivi e nuovi media, dunque ruota intorno alla nozione di "multimedialità". Ma in un contesto di "riproducibilità digitale" è il modo stesso di "produrre" (o riprodurre) arte che cambia, in parte smaterializzandosi (il supporto materiale può non essere necessario), in parte automatizzandosi (mediante algoritmi), in parte rinunciando all’aura (il "taglia, copia e incolla" ha di fatto invalidato il copyright, rendendo necessarie nuove forme di tutela della proprietà intellettuale quali l’open source o le Creative Commons), in parte modificando i processi (si inizia con la progettazione digitale e si finisce con la stampa in 3D).

E’ una evoluzione in atto e la rapidità dei cambiamenti è tale che si fa fatica a metabolizzarli, a decifrarne i contorni, i meccanismi e le conseguenze. Al giorno d’oggi, l’arte sembra essere ovunque e in nessun luogo, per il semplice motivo che le nuove tecniche di "produzione/riproduzione", i nuovi media, i nuovi supporti materiali e, infine, i nuovi riferimenti di tipo culturale e semiotico, ne hanno decentrato la funzione e l’ecosistema, spingendola verso il design, l’architettura, la moda, gli stili di vita e la comunicazione in generale. E’ la nuova estetica della globalizzazione, "the Art of things", per analogia a "the Internet of things".

Ma ritornando al concettuale, abbiamo detto che esso va inevitabilmente a colmare il vuoto che il "declino dell’aura" ha lasciato dietro di sé e lo fa sostituendo il concetto alla forma, le idee agli oggetti, l’astratto al reale, instaurando di fatto un "ambiguità semantica" che rende incerto il confine fra espressione e contenuto. La fortuna del concettuale trae vantaggio proprio da questa ambiguità, dal fatto che l'estetica e il senso dell'arte comunemente e tradizionalmente intesi, abbiano gradualmente ceduto il passo ad una produzione di oggetti ed eventi che, sostanzialmente, sfuggono a una valutazione di carattere formale ed estetico, come avveniva nel passato, rendendosi di conseguenza "ingiudicabili" (proprio perché l’oggetto è diventato concetto), se non entro le logiche e i confini di un milieu artistico (e di una critica) sempre più arroccati su posizioni d'élite, assoggettati ad esigenze che potremmo definire di mercato e organizzati secondo schemi e principi che di fatto ne fanno delle "istituzioni" (culturali, politiche ed economiche). Il destinatario è da un lato disorientato dall’ambiguità dell’oggetto/concetto, dall’altro ne è reso consapevole proprio dalla sua "collocazione istituzionale". Questo procedimento rende l’oggetto/concetto "autoreferenziale".

Una autoreferenzialità priva di significato (e di contenuti), che trova terreno fertile nell'egocentrismo pletorico di molti artisti che nell'arte intravedono. se non proprio un'occasione per spettacolarizzare le proprie azioni, comunque un'opportunità di brand.

E' un dato di fatto che in tutto il mondo si inaugurino quotidianamente musei d'arte contemporanea e gallerie, oltre che aste e cataloghi specializzati, finalizzati proprio a questo scopo, potremmo dire "economico/finanziario". E' un fenomeno "globale".

Affermare questo, naturalmente, non significa aderire a quella sorta di nefasto pragmatismo popolare che spinge sistematicamente a denigrare l'opera d'arte contemporanea come impostura o spazzatura. Siamo anzi convinti che se un'opera d'arte viene quotata, a prescindere dagli interessi speculativi che le stanno dietro (che indubbiamente ci sono), probabilmente ha un suo valore.

Allo stesso modo, il fatto che si siano presi in considerazione prevalentemente "maestri" del periodo modernista e post-modernista, trascurando i più recenti orientamenti artistici, dal duemila in poi, non significa affatto che si sia sottovalutato il valore intrinseco di queste esperienze, come se tutto fosse già stato detto o annunciato (epigoni di un passato illustre), ma corrisponde in realtà ad una scelta ben precisa: quella di mettere a suo agio il lettore citando nomi che fanno ormai parte dell'immaginario collettivo e del bagaglio culturale di tutti, artisti che per fama e notorietà non hanno bisogno di ulteriori presentazioni né di inutili quanto superflue esegesi.

Tuttavia ci stiamo spingendo di nuovo sul terreno scivoloso e impervio di dover definire cosa sia arte e cosa no, una polemica senza vie d’uscita, irrisolvibile, astratta, inutile, praticamente senza fine.

Sorge a questo punto spontanea una domanda: posto che, in un contesto di "riproducibilità digitale dell'opera d'arte", l'avventura delle avanguardie artistiche del '900 si sia ormai conclusa e, con essa, il post-modernismo e tutto il resto, cos'è che rende nondimeno "originale" e soprattutto "innovativa" un'opera d'arte? Perché se è vero che i confini fra arte e non arte si sono in un certo senso allentati, nel senso che sono diventati meno tassativi, sempre più labili, probabilmente soggettivi, a volte persino inesistenti, è pur vero che, per quanto soggettivo possa essere un giudizio, esiste pur sempre da qualche parte dell'inconscio individuale e "collettivo", cioè della coscienza storica intesa come sedimentazione culturale, una qualche nozione di opera d'arte, di capolavoro o di valore artistico, che ci fa esclamare, non senza una ragione: sì, questa è un opera d'arte! per me vale, la preferisco!

Allora, cos'è che rende "originale" e soprattutto "innovativo" un artista dei nostri giorni?

Probabilmente, in un epoca in cui tutto è stato detto e tutto è stato inventato, proprio il saper "creare riutilizzando" e "riproporre perfezionando", che in sintesi si traduce con due parole, tanto semplici quanto efficaci: "assemblare innovando".

L’arte è comunicazione. E' comunicazione di significati, ma è anche forma, più precisamente senso estetico. E' l'unico tipo di narrazione in cui "ciò" che viene comunicato, il significato, viene a coincidere con il "modo" in cui viene comunicato, ovvero la forma. E nel proliferare si stili e tendenze e scuole e tecniche e generi che il web ha palesemente moltiplicato, è senz'altro più difficile, se non quasi impossibile evitare l'ibridazione. Le contaminazioni sono tante e tali, che a stento si riesce a distinguerle, a riconoscerle. Sono tante e tali che non possono più essere evitate o isolate, ma soltanto riconosciute, percepite.

Nell’epoca dei maker, dell’Industria 4.0 o, se vogliamo, dell’Arte 4.0, il concetto di "ibridismo" dell'arte rappresenta insomma un punto di riferimento costante per chiunque voglia cimentarsi con l'arte dell'assemblaggio, sia che la si applichi in un ambito più propriamente grafico e pittorico, sia che la si estenda ad altri media, alle installazioni e alle performance: una sorta di opera d’arte totale, in continuo mutamento e soprattutto transmediale.

Costante e centrale è inoltre il concetto di "tecnica mista", che sta ad indicare l’uso contemporaneo di più tecniche e materiali in un’unica opera; una sorta di "polimaterismo" che ha spinto molti artisti contemporanei a servirsi di materiali extra artistici, quali la plastica, il plexiglas, i cartoni, i sacchi di iuta, le lattine di alluminio, il materiale di riciclo, persino gli alimenti, nonchè il corpo umano (body art), come strumento di liberazione espressiva e concettuale.

Soltanto la consapevolezza dell'enorme estensione delle conoscenze umane in rete e dell'altrettanto smisurata abbondanza di strumenti cognitivi e risorse digitali alla portata di chiunque, può, unitamente ad un buon bagaglio intellettuale ed a un innato senso estetico, produrre "Arte".

(1)  Il collage, il frottage e il dripping sono tecniche pittoriche molto utilizzate. Il collage viene insegnato anche nelle scuole e consiste nel produrre opere d'arte incollando, mediante sovrapposizione, carte, fotografie, oggetti, ritagli di giornale e riviste. Il frottage, invece, consiste nell'ottenere dei disegni mediante lo sfregamento di una o più matite, nere o colorate, su fogli di carta sovrapposti a superfici non lisce, ruvide o irregolari. Entrambe queste tecniche furono molto utilizzate dai surrealisti. Il dripping, invece, è una tecnica pittorica caratteristica dell'Action Painting e dell'arte informale americana: consiste nel lasciar sgocciolare il colore sulla tela distesa per terra oppure schizzarlo direttamente con le mani.

(2)  Un Rubens o un Raffaello difficilmente perdono la loro aura, per quanto riprodotti su milioni di libri e pubblicazioni. La profondità dell'Arte e della Storia parlano direttamente attraverso le pagine e le illustrazioni. Ma anche le opere d'arte contemporanee non necessariamente sono destinate, con la riproduzione a stampa, a perdere "aura". Sarà piuttosto un'aura ridimensionata, che diffonde soltanto l'eco di quella originale. Un esempio per tutti, Guttuso: le riproduzioni a stampa non rendono minimamente giustizia della grandezza della sua arte, che tra l'altro è figurativa. E' difficile descrivere l'emozione, potremmo dire quasi l'incanto, che si prova nell'osservare dal vivo queste sue opere gigantesche, magistrali, epiche, brulicanti di vita. L'animo si immerge estasiato, incredulo, nella storia dei personaggi e delle idee che vi sono rappresentate.

 

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FRA GRAFICA & PITTURA

Dal layout all'assemblaggio finale

Gli artisti contemporanei utilizzano mezzi diversi e talvolta li combinano all’interno di una stessa opera d'arte: dalla pittura al disegno, dalla fotografia alla scultura, mescolano suoni e video, progettano installazioni, eseguono performance, inseriscono citazioni, allusioni, a volte persino intere opere d'arte altrui nella propria; interagiscono col pubblico e gli oggetti, condividono la propria esperienza in rete (multimedialità indica l'uso estensivo delle nuove tecnologie e l’incrocio dei linguaggi) e si avvalgono dell'arte come meta-procedimento, meta-linguaggio, con correlazioni trasversali.

Sarebbe tuttavia un errore parlare di remake. Il remake non è arte, è ripetizione; anzi, è un "surrogato dell'arte", nella peggiore delle ipotesi è plagio, è "arte di massa", priva di originalità, di tensione creativa. Occorrerebbe piuttosto parlare di "assemblaggio", di "artigianato modulare", di "arte ibrida", ecc. Infatti, mentre il remake ridisegna un prodotto senza tuttavia modificarne né la funzione né il senso, l'assemblaggio produce al contrario un risultato del tutto inatteso, ridisegnando funzione e significato e, pertanto, sembra offrire la possibilità di esplorare nuovi quanto imprevedibili orizzonti estetici, aprendo un ventaglio di potenzialità espressive.

Solo assemblando spazi e immagini, forme e colori, luci ed ombre, situazioni ed atmosfere (non è forse la vita una serie d'immagini che si ripetono all'infinito, come i frattali? e cosa sono i frattali, se non sequenze, combinazioni, progressioni di combinazioni e, in definitiva, schemi strutturati?), l'artista potrà sfuggire all'inevitabilità del dejà vu, ovverosia, del già visto, già sperimentato, già teorizzato. A patto naturalmente di possedere una predisposizione individuale sua propria all'arte, che potremmo definire sesto senso dell'arte o più propriamente "consapevolezza artistica", che non a caso fonda la proprie ragioni e la propria credibilità sulle solide basi della cultura: un processo di acculturazione che è memoria, stratificazione di esperienze, condivisione di spazi, significati e gusti estetici.

In questa prospettiva sia il ritaglio di giornale che il particolare di una foto, un oggetto qualsiasi o una sua parte, un elemento decontestualizzato di un insieme (ad esempio di un'immagine), oppure un suono, una forma, una sequenza (di linee e segni), il negativo di una pubblicità, un pacchetto di sigarette gettato casualmente per strada, una lattina di birra calpestata, tutto ciò che fa parte del vissuto quotidiano o dell'immaginario collettivo e individuale, tutto questo può costituire motivo di ispirazione estetica, può, se opportunamente "assemblato", produrre una poiesis e, di conseguenza, un nuovo "oggetto d'arte".

Una reazione a catena, in una collocazione spazio-temporale completamente reinventata: nuovi metodi, che generano nuove idee e nuovi significati, che indipendentemente dal supporto utilizzato per veicolarli, sia esso materico (tela, cartone, plastica, alluminio riciclato) o digitale, sono in grado di generare Arte; insomma, un processo prevalentemente intenzionale che si avvale tuttavia di elementi e circostanze in parte casuali.

Infinite steps

Tecnica mista su tela: marker ad acqua e inchiostro diluito.

Lights and waves

Tecnica mista su tela: marker ad acqua e colori pantone.

Smoke circles

Tecnica mista su tela: tempera e acrilici.

Centrale in questa ottica è da considerarsi, ancora una volta, il contributo teorico e artistico di Max Ernst. Non tanto per le premesse ideologiche, fondate sul surrealismo, l'esplorazione del mondo onirico e l'analisi dell'inconscio, ma per il metodo e le tecniche compositive utilizzate dall'autore, che spaziano dal frottage al collage al dripping. I collage erano composti con immagini ricavate da opere scientifiche, racconti illustrati, cataloghi, giornali, enciclopedie mediche, ecc., mentre il dripping fu da lui utilizzato come un'equivalente in pittura della "scrittura automatica" surrealista. Tali tecniche, a ben vedere, sono fondamentalmente "tecniche di assemblaggio" e operano nell'ambito di un ibridismo che non è soltanto creativo e culturale, ma metodologico (tecniche, materiali, strumenti, procedure).

Al pari di Brian Eno, che parlando della propria arte, la musica, diceva: «io prima disegno la musica, quelli che chiamo mondi di tre minuti, poi mi metto a cercare delle parole, stando attento a che non siano esplicite ma piuttosto allusive», allo stesso modo l'arte dell'assemblaggio è una sorta di procedimento graduale, per fasi e moduli (aggiuntivi), dove prima si buttano giù le idee sulla carta, poi si disegnano gli schemi, si predispongono gli "outline", si tracciano i sommari, quindi si elaborano i "layout" del progetto, badando che "non siano espliciti", quanto piuttosto generici, non compiuti; infine si applicano le forme, i colori, gli effetti, gli stili e i materiali, fino ad arrivare alla stesura definitiva del progetto, ovvero, all'opera d'arte.

Tutto ciò ha ben poco a che fare con la pittura: si tratta verosimilmente di "grafica", tanto più che nel passaggio dal layout alla stesura definitiva del progetto si utilizzano, nella quasi totalità dei casi, dei "raster" (griglie), il cui scopo è quello di riportare "in scala", su supporti  come la tela o il cartoncino, progetti originariamente concepiti al computer. Se la scala utilizzata al computer è 1:50, nella realizzazione finale avremo necessariamente un valore di 1:1. 


Sulla rasterizzazione  

Approfondimento

Il termine rasterizzazione deriva dall'inglese "raster" (da cui "raster graphic"), col quale si intende praticamente la grafica bitmap, o grafica raster, una delle tante tecniche utilizzate in informatica per descrivere un'immagine in formato digitale. L'immagine viene cioè suddivisa in punti, detti appunto bit (da cui bitmap, mappa di bit). Dunque una linea o un cerchio saranno costituiti da tanti piccolissimi bit, ognuno dei quali conterrà informazioni relative alla dislocazione (sugli assi X e Y) e al colore. In una immagine in bianco e nero, senza sfumature di grigi, saranno perciò sufficienti due soli bit per descrivere un punto, mentre in una immagine complessa, a colori e in alta definizione, occorreranno più bit per descrivere ciascun punto. I primi computer erano basati su architetture ad 8 bit, quindi si potevano descrivere in questo modo soltanto 256 tonalità di colore. Con le nuove architetture a 32 e 64 bit è possibile ottenere gamme infinite di colore. La grafica bitmap si chiama anche "grafica raster", poiché i punti sono distribuiti uniformemente su di una griglia (appunto, raster, che significa griglia, reticolo, trama), come se fossero tanti piccoli quadratini, e si contrappone alla grafica vettoriale, nella quale le informazioni vengono descritte da algoritmi matematici, detti appunto vettori (una linea cioè, non viene descritta da puntini in successione, ma da vettori, ovverosia equazioni matematiche).

Pertanto il termine "rasterizzazione", oggi molto utilizzato negli studi grafici, è in realtà un anglicismo, la cui diffusione è strettamente connessa all'uso del computer. Nella grafica tradizionale, invece, e soprattutto nel disegno, sarebbe forse più esatto parlare di "quadrettatura". Chi non conosce la quadrettatura? Ci è stata insegnata sin dai banchi di scuola.

La quadrettatura è, in ambito artistico, un procedimento inteso ad agevolare la trasposizione di una immagine da un supporto piccolo, ad es. una foto, ad uno generalmente più grande, come un quadro o un affresco. L’immagine viene insomma suddivisa in quadrati, tramite una griglia ortogonale di linee perpendicolari ad angolo retto. Il reticolo viene disegnato in scala, ad es. 1:10, direttamente sulla foto o sull'immagine che si intende trasferire su supporto più grande e, successivamente, lo stesso reticolo viene anche riprodotto sul supporto di destinazione, con scala diversa, ad es. 1:1 se si intende ingrandire il disegno, 1:20 se si intende rimpicciolirlo. Normalmente si utilizzano scale 1:1 o 1:2, proprio perché la tecnica viene utilizzata principalmente per l'ingrandimento e non viceversa. I pittori di solito eseguono degli schizzi, prima di impegnarsi nella realizzazione finale dell'opera. Si pensi ad un affresco di grandi dimensioni: sicuramente sono necessarie decine di prove su carta, prima di realizzarlo in grande.

Quando si parla di scala, la scala reale è sempre 1:1. Nel disegno della planimetria di una casa, 1:100 significa che le proporzioni del disegno sono cento volte più piccole delle dimensioni reali della casa, che viene dunque considerata come 1:1.

La tecnica della quadrettatura consente, in definitiva, di mantenere le stesse proporzioni di una immagine, proprio perché questa viene suddivisa in parti più piccole, quindi la trasposizione non è arbitraria e nemmeno dipende dalla bravura o dall'innato senso di equilibrio dell'artista, ma è vincolata strettamente alla disposizione dei quadrati sulla griglia: ogni linea, ogni tratto, ogni elemento della composizione dovrà essere collocato esattamente al posto giusto e non altrove.

Come si procede?

  1. si disegna la quadrettatura (normalmente su di una fotocopia dell'originale o su di un lucido, per non rovinare l'originale) con riga e squadra
  2. a questa quadrettatura viene attribuita una scala, ad esempio 1:30 se ritengo che il disegno finale dovrà essere 30 volte più grande della bozza
  3. sul supporto (ad es. una tela o un cartoncino) si disegna, normalmente con matita, affinché possa essere facilmente cancellata, una griglia identica, nella forma e nel numero di quadrati, a quella originale, ma diversa nella scala, ad es. 1:1
  4. è consigliabile, per non sbagliare, numerare righe e colonne della quadrettatura
  5. normalmente si usano numeri per le righe e lettere dell'alfabeto per le colonne
  6. si inizia così a disegnare, utilizzando come punto di riferimento righe e colonne della quadrettatura originale
  7. se ad es. nella colonna C della riga 10 della griglia originale è presente un cerchio, questo viene riportato esattamente nella colonna C della riga 10 della griglia di destinazione
  8. completato il disegno, la quadrettatura precedentemente disegnata sul supporto di destinazione viene cancellata
  9. si procede quindi al completamento dei particolari ed alla trasposizione dei colori, zona per zona, senza tralasciare alcun dettaglio
  10. lo scopo è quello di raggiungere una somiglianza quasi perfetta con l'originale.

In alto, esempi di quadrettatura con scala 1.20 e 1:10.

La quadrettatura può anche essere utilizzata per riprodurre foto.

La griglia può essere modificata in diversi modi, o ingrandendo i quadratini che la costituiscono o addirittura deformandoli. La deformazione è molto importante nella grafica, poiché attraverso questo espediente è possibile ottenere risultati davvero interessanti e assolutamente originali, imprevedibili.

In alto, esempi di raster deformati. E' necessaria un'approfondita conoscenza della geometria e del disegno tecnico.

Uno dei più grandi grafici mai esistiti, l'olandese Escher, fu uno dei primi ad utilizzare le griglie deformate in modo sistematico e scientifico. Molte delle sue realizzazioni non sono soltanto capolavori artistici, ma vere e proprie opere di ingegneria matematica.

In alto, due opere di Escher: un paesaggio deformato e il famoso autoritratto.
(All M.C. Escher works © 2019 The M.C. Escher Company - the Netherlands. All rights reserved. Used by permission. www.mcescher.com).

Escher si spinse oltre, abbinando alla tecnica della quadrettatura quella della "tassellatura", ottenendo risultati in assoluto straordinari, per un epoca in cui non esistevano ancora né i computer né la grafica 3D.

Un esempio di tassellatura: Escher, il quadro 'Giorno e notte'.
(All M.C. Escher works © 2019 The M.C. Escher Company - the Netherlands. All rights reserved. Used by permission. www.mcescher.com).

In alto, uno dei capolavori di Escher, l'incredibile "House of stairs": vi si fondono avanzatissime tecniche grafiche, principi matematici e regole prospettiche.
(All M.C. Escher works © 2019 The M.C. Escher Company - the Netherlands. All rights reserved. Used by permission. www.mcescher.com).

A questo punto ci si domanderà: cos'è la tassellatura?
Sostanzialmente una cosa molto semplice. Un pavimento ricoperto di piastrelle disposte in modo regolare e geometrico è una tassellatura, oppure il disegno di un tessuto o qualsiasi altra cosa sia composta di "tessere" o "tasselli"; ad esempio l'intarsio d'un mosaico o l'insieme di più figure tridimensionali disposte ad incastro fra loro, secondo geometrie strutturate. Disponendo tessellature ordinate su griglie deformate, è possibile ottenere effetti inusuali, che aggiungono ulteriore spettacolarità alle proprie realizzazioni artistiche.



Resta tuttavia "pittura" dal momento che il raster non viene utilizzato, come in Escher, con "scientificità matematica". Escher se ne serviva per generare illusioni ottiche o immagini tridimensionali, mentre nel nostro caso il raster serve semplicemente a riportare, su supporti di dimensioni maggiori, come la tela o il cartoncino, ciò che originariamente è stato concepito e assemblato, con vari procedimenti, su carta o al computer, e comporta altresì, nel corso della trasposizione da un supporto all'altro, un'opera di riadattamento, trascrizione, rifacimento: ripensare i materiali, i colori, le forme, le tecniche, la fisionomia complessiva, il bilanciamento degli spazi e delle figure; ripensare in altri termini l'"assemblaggio" stesso, come strumento di realizzazione flessibile e polivalente dell'opera d'arte.

Se le avanguardie storiche del '900 (Futurismo, Costruttivismo, Dadaismo, Surrealismo, Bauhaus, ecc.) capirono l'importanza della grafica come pratica "progettuale" e la utilizzarono in interazione con altre discipline, quali l’architettura, il disegno industriale, l’editoria e la moda, fu la pop art, a partire dagli anni '60, ad impiegarla con metodicità come strumento di realizzazione artistica (vedi Wharol, Lichtenstein), sdoganando definitivamente tecniche e procedure che normalmente erano state impiegate nell'ambito della comunicazione pubblicitaria e visuale e che si avvalevano di media e supporti completamente diversi da quelli tradizionali.

Il trend è proseguito nei decenni successivi e, con l'avvento della computergrafica e del web design, gli strumenti tradizionali normalmente impiegati per la "riproduzione seriale" delle opere d'arte, quali l'incisione, la xilografia, la litografia, la serigrafia, ecc. sono stati lentamente soppiantati dalla stampa offset e, in ambito domestico, dalla stampa cosiddetta "a getto d'inchiostro"; ma ciò non significa che le tecniche tradizionali, se opportunamente aggiornate, non possano essere di nuovo riutilizzate nell'arte dell'assemblaggio, così come l'abbiamo teorizzata sinora. E questo discorso vale anche per la fotografia, sia quella teorizzata dal futurismo, con le sue "ricerche fotodinamiche", sia quella "astratta" delle prime avanguardie artistiche, che si proponeva di descrivere la realtà estrapolandone alcuni aspetti, assolutamente banali, ordinari, persino insignificanti; ritagli di vita quotidiana, immagini comuni di suppellettili abbandonate, recinzioni, depositi, oggetti sparsi, ammucchiati o isolati, in uno spazio-tempo indefinito, onirico.

Ciò che caratterizza l'arte dell'assemblaggio e, nel loro insieme, le arti grafiche, è il processo di elaborazione che l’artista mette in opera per conseguire il proprio risultato, nello specifico, il "procedimento creativo" che intercorre tra pianificazione, elaborazione, allestimento e ultimazione dell'opera, ovvero i passaggi che dal disegno, al raster, alla scelta del supporto materico o digitale, conducono alla rappresentazione finale e, di conseguenza, alla comunicazione visiva.

Il processo, naturalmente, non può essere semplificato da un insieme riduttivo di tecniche e precetti, cui attenersi scrupolosamente per ottenere il risultato desiderato. E' richiesta una propensione creativa, una ricerca continua, un'indagine approfondita e appassionata dell'universo cromatico e materico che ci si accinge a sperimentare; bisogna altresì tener conto del margine di imprevisto insito in ogni realizzazione creativa. E' richiesta un'investigazione accurata delle proprietà tattili della materia, del colore e del segno, un'attenzione all'equilibrio delle forme e degli oggetti, ovvero delle luci e delle ombre, presenze e assenze; l'intersecarsi delle linee, il sovrapporsi dei piani e delle tonalità, il succedersi degli spazi.

Le arti grafiche possono essere impiegate, tra l'altro, per la creazione di "libri d'artista".  Si tratta in genere di opere complesse, manufatti rari ed esclusivi, in tiratura limitata, in cui l'intervento dell'artista è decisivo, in ogni sua fase, dalla progettazione alla realizzazione finale, dalla scelta dei materiali a quella delle caratteristiche tipografiche e degli elementi visivi, ovvero immagini, foto, disegni, scritture (rigorosamente autografe) e persino oggetti, come stoffa e cartone (1). Nei libri d'artista, insomma, gli elementi visivi si fondono al testo, che diventa a sua volta gioco di parole, artificio tipografico e, di conseguenza, "chiave di lettura", sia sul piano estetico, che semantico: potremmo immaginare la Galassia Gutenberg proiettata, in filigrana, sulle pareti della Cappella Sistina.

A tutto ciò bisognerebbe aggiungere, per dovere di cronaca, la video arte (dall'inglese 'video art'), che è utilizzata e a sua volta si articola in molteplici forme espressive (installazioni, video-installazioni, performance, cortometraggi, videosculture, videoambienti interattivi, poesia elettronica, video-poesia, digital art, ecc.), se non fosse che in questo contesto, ovverosia il contesto dell'Arte ibrida, in cui la maggior parte delle opere in catalogo è su tela o cartoncino, è stato privilegiato il supporto bidimensionale materico, ottenuto mediante l'impiego di tecniche, come abbiamo visto, "miste", che sono, per loro natura, principalmente "grafiche" e secondariamente "pittoriche". Di conseguenza, anche da un punto di vista teorico, la riflessione non può fare a meno di focalizzarsi e interrogarsi in particolare sul valore e sul significato del "quadro", inteso appunto come supporto bidimensionale nel senso più classico e tradizionale del termine. Riflessione non priva di spunti e argomenti d'interesse.

(1)  in un'opera multimediale anche suoni e animazioni; in una installazione anche spazi e prospettive; in una performance corpi e cose.

 

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LA COMPÜTER GRAFICA

Digital Art e dintorni

La progettazione, la trasformazione delle immagini, la verifica dei colori e il bilanciamento delle forme, il dimensionamento dei raster, la simulazione intermedia dei risultati, fino alle prove di stampa, sono ambiti di competenza della "computergrafica".

Il termine computer graphics nasce per la prima volta negli Stati Uniti, negli anni '60, grazie ad aziende come Apple e Commodore. Successivamente, verso la fine degli anni Ottanta, si diffondono i primi software per il ritocco fotografico e il disegno vettoriale e, grazie ad una accresciuta capacità di calcolo dei processori, si giunge rapidamente ad una piena integrazione delle diverse tecnologie multimediali: audio, video, immagini, testi interattivi, simulazione tridimensionale, rendering cinematografico, ecc.

Attualmente la grafica computerizzata si suddivide in varie tipologie, in base al livello di complessità o al tipo di media utilizzato. Nell'arte dell'assemblaggio è molto utilizzata, per esempio, la grafica bidimensionale o 2D o pixel art, che rappresenta gli oggetti, i colori e le forme sfruttando soltanto due dimensioni; molto utilizzata è anche la grafica vettoriale, che descrive le immagini sotto forma di vettori (che sono insiemi di primitive geometriche su assi cartesiani): la posizione dei punti, delle linee, dei poligoni e delle curve, ma anche la densità dei colori e delle sfumature, sono determinate mediante algoritmi matematici. Meno utilizzata è, invece, la grafica tridimensionale 3D, almeno per quanto concerne l'ambito della pittura (e della decorazione) in senso stretto, anche se la scultura potrebbe trarre enormi benefici dalla grafica tridimensionale, sia in fase di progettazione che di trasformazione.

Un discorso a parte andrebbe fatto per le installazioni che, più di ogni altra forma artistica, si avvalgono già oggi di più media espressivi, dall'animazione digitale ai testi interattivi al 3D mapping  e per le quali l’uso del computer è assolutamente indispensabile e proficuo.

La computergrafica, insomma, è parte integrante di una moltitudine di ambiti professionali, inclusa la tipografia (desktop publishing) e, in misura minore, la produzione di libri e stampe d'arte.

Anche l'arte dell'assemblaggio, così com'è stata teorizzata sinora, fa largo impiego delle tecnologie digitali, ovvero di software per il ritocco fotografico e il disegno vettoriale. Soltanto in fase di abbozzo (rough) sono occasionalmente utilizzati anche disegni a mano libera su carta.

Nell'arte dell'assemblaggio, la progettazione digitale precede di fatto la realizzazione tecnica e manuale dell'opera d'arte, subordinandola. Ma c'è di più. Non è difficile immaginare, in un prossimo futuro, quadri e sculture realizzate direttamente in digitale con stampanti 3D. Cosa significa questo?

Significa, in sostanza, che un'artista può progettare il suo quadro interamente al computer e poi vederselo stampare in 3D, con sofisticati sistemi di riproduzione delle immagini, nell’ambito dei quali non soltanto i colori, ma la stessa dimensione dei pennelli e lo spessore (materico) della spatolatura o del dripping, vengono elaborati elettronicamente, sulla base di ben precise informazioni strutturate, fornite dall'autore e dal software in fase di progettazione (input).

Il "taglia, copia e incolla" cui siamo ormai abituati non è che l'inizio di un'evoluzione che è destinata probabilmente a sovvertire i nostri abituali modi di produrre e pensare arte. Alcuni potrebbero storcere il naso, ma gli scenari sono molteplici e imprevedibili e tutto dipende, in definitiva, da come sapremo reagire e rapportarci al cambiamento.

Anche il ruolo sociale dell’artista e il suo modo di rapportarsi alla cultura, al mercato, alla comunicazione di massa, alla tecnologia, ecc. sono destinati inevitabilmente ad evolversi.

L’artista del terzo millennio avrà a disposizione nuovi spazi, nuove opportunità, nuovi strumenti per comunicare la propria arte e farla conoscere al grande pubblico. Gli attuali spazi museali ed espositivi, gli eventi e le manifestazioni artistiche, i canali della grande distribuzione e i circuiti tradizionali dell’arte, da soli non copriranno più il fabbisogno di milioni e milioni di utenti che attraverso le nuove tecnologie della rete, daranno vita a una galassia di interazioni collettive e individuali, portatrici di nuove istanze di vita e modelli di pensiero.

Da un lato gli artisti del terzo millennio continueranno a rapportarsi all’arte con la A maiuscola, quella dei professionisti di settore, degli artisti che contano, delle élite, delle opere importanti, degli spazi museali e delle mostre, che può essere concepita come un "sistema" a parte, autosufficiente e in sé compiuto; dall’altro, vedremo esplodere il mondo di quella che potremmo definire una specie di nuova "arte pop", un mondo di artisti sconosciuti, di eventi alternativi, di outsider, di gente che popola il web alla ricerca di uno spazio o di un’occasione per raccontarsi, per mettere a frutto le proprie idee. Un "fai da te" che sarà indubbiamente agevolato dalle rete e dalle nuove tecnologie, ma bisogna pur considerare che Internet e la comunicazione globale non riguardano soltanto gli outsider e il "fai da te", bensì anche i professionisti e l’Arte con la A maiuscola. Entrambe sono chiamate a rapportarsi a questo nuovo mondo in continua trasformazione e qualsiasi tentativo di "teorizzazione" non potrebbe che risultare semplicistico e frettoloso.

Quale che sia il ruolo dell’artista in questa nuova società, colui che intenda raggiungere una certa "visibilità" avrà comunque a disposizione, oltre agli strumenti e alle opportunità offerte dai sistemi d’arte tradizionale, quali mostre, eventi e pubblicazioni di un certo rilievo, anche gli strumenti e le opportunità offerte dalla rete e dalle nuove tecnologie digitali (internet, i social network, i motori di ricerca). A queste due opzioni potranno inoltre aggiungersi le opportunità offerte dal terzo settore, ovvero il settore delle organizzazioni non profit, che propongono spazi di intrattenimento e comunicazione libera e collaborativa, operando nel mercato indipendente e alternativo dell’arte. Che poi è tutto ciò che si muove intorno all’arte pubblica, a cominciare dal suo insegnamento, fino alla sua promozione e propagazione attraverso la cultura e la politica, in ambito istituzionale e non. E questo vale tanto per i professionisti quanto per gli outsider, i nuovi artisti del web.

D’altronde, l’espressione "outsider" è soltanto una delle tante che potremmo utilizzare per definire o tentare di definire la "tipologia sociale" e le peculiarità psicologiche di questo nuovo tipo di artista. Trattasi, invero, di un artista e di un’arte incentrata prevalentemente su Internet e sulle reti sociali, che dunque ha caratteristiche che potremmo definire "social". Potremmo chiamarla "arte social", appunto, e cercare di verificare se questa affermazione contenga o no elementi di verità e di analisi corretti, o quantomeno plausibili.

Ma non è l’unico scenario ipotizzabile, ne esistono altri, non meno interessanti. La tecnologia è più veloce di quanto possiamo immaginare, nei prossimi anni saremo invasi da evoluti sistemi di auto-apprendimento, di "machine learning", che raccolgono dati sui nostri gusti e le nostre preferenze, interagiscono con gli umani, acquisiscono competenze e skills, sono in grado di prevedere reazioni e risposte. Non è del tutto improbabile, dunque, che in un prossimo futuro l'arte, come tante altre attività umane, la producano i robot. Ma il problema è un altro: a chi spetterà il compito di decidere, dopotutto, cosa sia arte e cosa no? Saranno forse i robot a deciderlo o qualcun altro? Sarà il mercato, la critica, i media? Saranno gli influssi di mode passeggere? Di capricci e idiosincrasie dell'animo umano? Oppure decideranno, come è sempre stato, i contesti culturali e sociali entro i quali di volta in volta ci ritroveremo ad operare? Deciderà la storia? Quale storia? Ed entro quali coordinate spazio-temporali?

Il cyberspazio sta rapidamente cambiando le regole del gioco. Cambieranno indubbiamente anche i modi di produrre e consumare arte e, sostanzialmente, di intenderla. Eppure, molto probabilmente, le principali domande sull'arte, prima fra tutte "cosa sia arte e cosa no", rimarranno invariate: vane, irrisolte e sfortunatamente senza risposta.

Ecco perché soltanto Wharol e la pop art sono andati oltre il modernismo e il post-modernismo, l’industrial e il post-industrial, poiché hanno reso sterile qualsiasi dibattito sull'arte e la non-arte, palesando le contraddizioni di un’arte fatta museo e di una ricerca attenta più all’indagine di mercato che ai contenuti.

In maniera del tutto analoga, l'assemblaggio digitale va decisamente oltre: va oltre lo stesso modo ordinario e predeterminato di concepire la tecnica e il procedimento artistico e di conseguenza il ruolo dell'artista, ammesso che si possa continuare a parlare di un suo ruolo. Eppure tutto questo non deve spaventarci, è una evoluzione già in atto. Già oggi, molti artisti producono soltanto opere digitali e sempre più sono quelli che si affidano a tecniche e strumenti digitali per integrare il proprio lavoro: nella pittura come nella fotografia, nella scultura come nelle installazioni.


Tribute to Mondrian

Vertical plots

Tecnica mista su cartoncino: tempera e acrilici.

Zebra abstraction

Visual extrapolations

Tecnica missta su cartoncino: inchiostro e tempera

Greenpea shelves

Inner Layers

Tecnica mista su tela: vernici colorate e acrilici.

Tender pink dreams

Visual metamorphoses

Tecnica mista su cartoncino: marker ad acqua e gessetti colorati.

Di conseguenza, la computergrafica è diventata, in certi settori, sinonimo di "arte digitale" (Digital Art). Tuttavia, le due cose non vanno confuse.

Per la Digital Art il mezzo, cioè il computer, coincide con il fine, ovvero l'Arte. In altre parole:

  • l'opera d'arte viene direttamente elaborata in digitale, veicolata in digitale, fruita in digitale;
  • contenuto e forma, media e significato coincidono.

Al contrario, l'Arte dell'assemblaggio utilizza il computer come "mezzo" e non come "fine"; lo strumento diviene parte integrante di un processo, di un insieme di tecniche, di un approccio in parte tecnico e in parte manuale. Ovvero: progettuale nell'intenzione e modulare nella realizzazione.

L'Arte dell'assemblaggio ha come output un supporto fisico, non un bitmap smaterializzato; è dunque finalizzata alla realizzazione di un prodotto, di un "manufatto artistico".

Così intesa, la computergrafica diviene un "un mezzo". Non rappresenta infatti una nuova forma d'arte cui l'artista debba consacrare se stesso, bensì si propone di orientare e "coadiuvare" l'artista nella realizzazione del suo progetto. Usando ad esempio una tavoletta grafica e una palette elettronica (di pennelli, filtri, colori ed effetti speciali), l'artista realizza, mediante successive trasformazioni, a partire da una foto o da una scansione, immagini non convenzionali, che simulano, di volta in volta, il tratto di un pennello reale, di una tempera, di un olio, di un acquerello, di un aerografo e via dicendo.

Nella pittura digitale, infatti, l'oggetto finale sarà un bitmap, ovvero un'immagine rappresentata da migliaia di punti, detti pixel, la cui maggiore o minore intensità determinerà la risoluzione dell'immagine e quindi la qualità di stampa, che costituisce il punto di arrivo della fase cosiddetta "progettuale". (Ottenere infatti in stampa il colore veritiero percepito sul display è un'operazione molto laboriosa, che condiziona pesantemente tutte le successive fasi di trasferimento dell'opera d'arte su supporto fisico).

Nell'Arte dell'assemblaggio, invece, si opererà in un contesto "reale" e non "virtuale", avendo come obiettivo la "realtà" e non la "virtualità". Mentre infatti nella "realtà virtuale" ci si serve delle tecnologie digitali per simulare ambienti e/o circostanze reali, dando l'illusione, a chi li sperimenta, di trovarsi immerso in un mondo veritiero e tangibile, nell'arte dell'assemblaggio, sebbene gran parte del procedimento, almeno per quanto concerne gli aspetti digitali e la successiva diffusione in rete, sia da considerarsi "smaterializzato", nondimeno l'artista agisce:

  1. in un contesto reale (es. galleria d'arte, esposizione, museo, evento, rassegna, ecc.);
  2. operando su di un supporto fisico (tela, stampa, affresco, decorazione, arredo, ecc.);
  3. in presenza di destinatari concreti (pubblico, studiosi d'arte, acquirenti).

Può sembrar strano, ma l’impressione è quella di procedere in direzione quasi opposta alla "smaterializzazione digitale". E’ come se si tracciasse una parabola dell’evoluzione dell’arte in senso digitale e poi si ritornasse al "manufatto" e, dunque, alla manualità stessa. In realtà, l’outsider non è necessariamente un artista digitale e, viceversa, un artista digitale non è necessariamente un outsider. Nell’Arte dell’assemblaggio la progettazione è digitale, le realizzazioni sono fisiche (materiali), i contenuti e i metodi sono ibridi, i procedimenti sono, a seconda delle circostanze, tecnici e/o manuali, le finalità sono introspettive, l’approccio è esistenziale e minimalista. L’artista che produce secondo le modalità appena descritte tende a divulgare la propria arte e distribuire i propri manufatti, rapportandosi - a seconda delle circostanze - ora ai circuiti dell’arte mainstream e dunque ai canali della grande distribuzione, ora al mondo dell’associazionismo non profit, ma di norma predilige il web, come strumento di comunicazione polifunzionale, in quanto gli consente di creare, in breve tempo e con pochi investimenti, una rete di occasioni e contatti molto diversificata ed estesa.

Giova tuttavia ricordare, ancora una volta e a scanso di equivoci, che si tratta di riflessioni soggettive e sarebbe pertanto fuorviante leggerle come un "manifesto programmatico". Al contrario andrebbero considerate per quello che sono: appunti o se vogliamo "considerazioni" su temi di interesse comune che, nell’arte come nella società, sono fonte di dibattito e confronto.


Ritorno al quadro?

Abbiamo detto che l’Arte dell'assemblaggio utilizza il computer come "mezzo" e non come "fine". Si parte cioè da una sperimentazione digitale (ad es. un layout grafico) e si approda infine ad un manufatto "concreto" (un quadro, un affresco, una stampa, una scultura o un oggetto d’arredo).

Una simile concezione del procedimento "artistico", tuttavia, pone degli inevitabili interrogativi: bisogna intendere l'Arte dell'assemblaggio come una sorta di ritorno al quadro, inteso come manufatto concreto? e se si, cosa si intende per "manufatto concreto"?

Da un punto di vista metodologico, la risposta è sicuramente no, non si tratta di un ritorno al quadro. Anche una scultura o una installazione o un video possono essere "assemblati". L’arte cinematografica è il più classico esempio di assemblaggio. Un film è composto da più parti, dalla regia, dal montaggio, dalla sceneggiatura, dalla recitazione, dalla colonna sonora, dagli attori, dalle comparse, dai dialoghi, dal doppiaggio, dalle ambientazioni, dagli effetti speciali, e via di seguito. La somma di tutti questi elementi, sapientemente orchestrata (regia) e accuratamente assemblata (montaggio), rappresenta ciò che noi chiamiamo film. Non necessariamente un film deve essere un’opera d’arte, ma le tecniche e soprattutto le metodologie dell'arte dell'assemblaggio sono ugualmente applicabili al cinema come ad altre forme di espressione artistica (figurative e non).

Allo stesso modo il "messaggio" può essere espresso in una infinità di modi diversi, ma non per questo cambia la sua sostanza. Gioia vuol dire gioia e, parimenti, dolore vuol dire dolore, sia che lo si esprima in forma scritta (attraverso il linguaggio poetico), che in forma figurativa (attraverso i colori). In altre parole, i "modi" possono influenzare la forma, ma non la sostanza del messaggio, che rimane invariata.

Ora, volendo estendere all’Arte il concetto di medium formulato da Marshall McLuhan nel secolo scorso, potremmo dire che l’artista può (nel senso che è una "sua libera scelta espressiva") veicolare, a seconda delle circostanze e dei contesti, lo stesso messaggio a più fruitori attraverso media differenti: un libro, un dipinto, un’installazione o un happening.

Si prenda il caso dell’installazione. L’installazione è il più classico esempio di opera d’arte multimediale, in quanto si avvale di più media contemporaneamente: pitture, sculture, oggetti, materiali di riciclo, suoni, luci, video e, in alcuni casi, anche persone.

Se dunque l'arte dell'assemblaggio può essere applicata a qualsiasi tipo di arte (figurativa e non), che senso ha allora parlare di manufatto "concreto"? Anche il film, dopotutto, è un manufatto concreto, il cui supporto è rappresentato da una pellicola, da una videocassetta o da un dvd. Anche le installazioni hanno una loro concretezza materiale, sono costituite cioè da molteplici oggetti, suoni, testi, voci, proiezioni, ecc. che si materializzano durante la fruizione dell’opera. Il vero supporto delle installazioni è infatti lo "spazio", l’insieme delle modalità in cui esso viene fruito: all’aperto (percorsi urbani o giardini) o all’interno (musei, mostre). E’ necessario, insomma, che il fruitore delle installazioni cessi di essere spettatore passivo, per diventare parte integrante e attiva di questo "spazio". La percezione deve essere continuamente sollecitata, consapevolizzata.

Parlare di "ritorno al quadro", di conseguenza, ha senso soltanto nella misura in cui la scelta dell’artista si concentri deliberatamente e consapevolmente su questo tipo di supporto. L’autore di questo sito web, ad esempio, ha deliberatamente scelto di realizzare quadri piuttosto che sculture e ha scelto di realizzarli su tela o cartoncino (supporti "tradizionali" per eccellenza), piuttosto che su schermi piatti o pareti o monitor tridimensionali. Dunque, non è soltanto una questione di gusti e preferenze, bensì di scelte esplicite, che si concretizzano in una "prassi", in un modo di produrre ed intendere arte.

Le ragioni d’altronde possono essere diverse. L’impossibilità logistica per alcuni di allestire installazioni anche piuttosto costose in termini di spazio, denaro e materiali richiesti; oppure, come già detto, l’effettiva predilezione da parte di altri per questo tipo di supporto (il quadro), che lungi dall’essere superato, si presta in realtà ad una molteplicità di usi, in una molteplicità di contesti, per una infinità di scopi: cosa che di fatto ne ha decretato il successo nel tempo e presso culture differenti.

Dunque, più che di "ritorno al quadro", si tratterebbe di farne un "uso nuovo e consapevole", in un orizzonte sociale e culturale profondamente trasformato dalle tecnologie digitali e dalla globalizzazione. Solo e unicamente da ciò dipende l’attualità del "quadro", in quanto strumento di espressione artistica, in un mondo e in una società sempre più proiettate verso Il futuro.

In questa prospettiva, allora, il nocciolo del problema è proprio quello di definire, in sostanza, cosa sia effettivamente un quadro e di capire se, dopotutto, esso abbia ancora un "futuro", una sua attualità.

E’ difficile non pensare per "analogia" al mondo dell’editoria digitale e dei libri elettronici, perché il dibattito in corso sul libro e il futuro del libro è sostanzialmente lo stesso che investe anche il mondo della pittura e del quadro.

Di fronte all’affermarsi sempre più invasivo dei libri elettronici e dei dispositivi di lettura (tablet, e-reader, ecc.), molti hanno tentato di tracciare delle differenze fra il libro di carta e il libro elettronico, evidenziandone pro e contro, pregi e difetti, vantaggi e svantaggi, e nel far questo hanno dovuto inevitabilmente chiedersi cosa sia in effetti un libro e quali siano in definitiva le sue caratteristiche. Ne consegue che il libro è un luogo pensato per ospitare testi (parole), secondo determinate convenzioni e formati, così come il quadro è un luogo, anzi una "superficie", pensata per ospitare immagini (reali o astratte), secondo determinate forme e modelli, immagini che, al pari dei testi, esprimono "contenuti". Ma il libro o il quadro non sono soltanto luoghi o se vogliamo superfici entro le quali esprimere e/o rappresentare, attraverso testi e immagini, le proprie idee e concezioni del mondo. Hanno anche una funzione, che è invero molto "specializzata".

Nel suo splendido saggio "La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro" (Laterza, Bari), Gino Roncaglia mette in evidenza che:

Il supporto usato per la scrittura e per la lettura risulta funzionale rispetto a certi tipi di testo e di situazioni: non è neutrale, ma anzi contribuisce a determinare uno spazio di possibilità, sia per quanto riguarda la tipologia del testo, sia per quanto riguarda i modi della sua fruizione. Il supporto non determina il testo, il medium non determina il messaggio. A essere determinato è uno spazio di possibilità, che può essere riempito in modi e forme diverse ma che ha una sua specificità. Dunque, il supporto ha una funzione specifica: quella di interfaccia fra noi e il testo.

Ne consegue che il successo del libro come interfaccia "specializzata" di lettura è determinato da ben precisi fattori: la facilità di lettura e di trasporto, l'economicità, la resistenza all'uso, la comodità della forma, la funzionalità dell'impaginazione numerata, e via di seguito.

Chi si occupa dei libri come oggetti fisici, non può non tener conto di questi fattori. Philip Smith ha coniato un termine specifico al riguardo: "bookness" ovverosia la "qualità dell'esser-libro" (testualmente: The Whatness of Bookness, or What is a Book.).

Allo stesso modo potremmo chiederci se anche nella pittura o nella scultura esista un qualcosa di analogo al concetto di "bookness", che potremmo definire "pictureness" o "paintingness" o "sculptureness"?

La domanda è indubbiamente pertinente, in quanto con la crescente diffusione di tecnologie come gli schermi piatti o i proiettori ad alta risoluzione, che consentono di visualizzare immagini senza ricorrere a nessun tipo di supporto fisico tradizionale, si è verificato un fenomeno del tutto analogo all’introduzione del libro elettronico nel mondo della lettura: gli schermi piatti sono diventati quadri, gli ologrammi sculture.

Ci si rende effettivamente conto che il "supporto fisico" tradizionale (tela o cartone che sia) non è probabilmente nemmeno più necessario. Tuttavia il supporto, come spiega giustamente Roncaglia, non è "neutrale", in quanto appunto svolge una funzione di "interfaccia" fra il fruitore e il contenuto.

Con l’introduzione del libro elettronico, infatti, il libro di carta non è affatto scomparso, ma continua a sopravvivere svolgendo concretamente altre funzioni in altri contesti, rispondendo ad altri bisogni e conservando in alcuni casi un fascino, una seduzione e una piacevolezza (anche tattile), che sicuramente i libri elettronici non hanno o non ancora possiedono.

Allo stesso modo, le modalità di fruizione di un quadro su supporto fisico tradizionale, pur essendo tecnicamente diverse dalle modalità di fruizione di un quadro su schermo piatto o computer, non scompariranno, bensì si ritaglieranno altre opportunità e altri spazi, in una geografia culturale e sociale sempre più variegata e multiforme.

Il quadro, in conclusione, è l’interfaccia fra noi e la pittura e, al pari del testo, non rappresenta soltanto un monotono raggruppamento di segni e caratteri alfanumerici in sequenza ordinata, ma è un veicolo di conoscenza e significati. Solo in questo senso si può intendere appieno e correttamente il significato dell’affermazione iniziale: l’Arte dell'assemblaggio utilizza il computer come "mezzo" e non come "fine".

 

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ZEN E MANUALITÀ

Il laboratorio minimalista

Nel capitolo "Modelli di riferimento" si è brevemente accennato sia al valore "decorativo" che l'opera d'arte può assumere in relazione alla specificità del supporto fisico (tela, cartoncino, vetro, ceramica, ecc.), sia al valore di "arredo", anche architettonico, che a volte può assumere in determinati contesti (o "percorsi"), come mostre, manifestazioni, eventi, ecc. Questo rende di fatto l'opera d'arte polifunzionale, in quanto elemento di demarcazione degli spazi e degli itinerari non soltanto espositivi, ma abitativi: il supermercato, la banca, il cinema, il centro commerciale, ecc.. E' un discorso senz'altro interessante, poiché sposta il focus dell'attenzione su di una "pluralità di aspetti" che non riguardano soltanto l'opera d'arte in sé, ma anche il suo significato e il rapporto con l'ambiente, e tutta una serie di problematiche connesse infine alla realizzazione pratica, ovvero alla lavorazione: materiali, tecniche, strumenti, dispositivi, metodologie. ecc..

Purtroppo, lo spazio urbano è profondamente mutato. La globalizzazione ha radicalmente svuotato di senso e funzione quelli che un tempo erano ritenuti i luoghi di incontro per eccellenza, le "piazze". Il centro commerciale ha gradualmente sostituito la piazza.

Se le piazze avevano una funzione identitaria (culturale, sociale, storica), la globalizzazione ha reso la realtà urbana sempre più frammentaria, percorsa da geografie strutturate, finalizzate di volta in volta al transito o al commercio, al trasporto o al tempo libero. Gli spazi, le strutture, gli edifici non posseggono più le caratteristiche identitarie e relazionali di un tempo, ma sono concepiti per un utente generico, standardizzato, di "passaggio", che vive e si riconosce, secondo l'antropologo francese Marc Augé, soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio, dei grandi magazzini e delle catene alberghiere, in altre parole l’anonimato dei "non-luoghi" (Marc Augé, Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité - 1992). 


Sui non luoghi di Augé  

Approfondimento

Nel "non-luogo" l’identità è rappresentata dall’anonimato: l’anonimato del passeggero, l’anonimato del consumatore, l’anonimato del cybernauta. L’anonimato è uno status che può essere acquistato al momento dell’entrata (ovvero dell’accesso) e perso al momento dell’uscita (o della disconnessione). Si entra in un supermercato così come ci si accosta ad un casello autostradale o ci si connette al web: azioni che hanno in comune la ripetitività e l’etica dell’anonimato. L’etica dell’anonimato consiste dunque nell’acquisizione di uno status: vidimando una card, inserendo un bancomat, digitando una password. Questo è importante, perché di fatto, si viene riconosciuti dal sistema e questo sistema è globale, vale ovunque, a Tokyo come a Parigi, a New York come a Pechino. E' un continuum di cartelli e réclame che pubblicizzano prodotti, che suggeriscono direzioni, infografiche che vietano e/o consentono una determinata azione: non gettare rifiuti dal finestrino. Il tutto secondo una logica esplicativo-prescrittiva: ad ogni informazione (fase esplicativa: il passaggio è libero), corrisponde una prescrizione (fase prescrittiva: inserire la carta d’accesso). Nei "non-luoghi" prevale la misura dello standard. Standard è la lunghezza dei percorsi, standard è la distanza tra un luogo e l’altro, tra una sosta e l’altra.

Le identità che si esprimono attraverso il luogo sono in genere identità "stabili", il passato "coesiste" nel presente senza esserne cancellato. Per l’esattezza Augé paragona l’identità storica a una specie di "sostrato" che informa di sé costantemente il presente e il contesto che lo circonda. La modernità non cancella questo sostrato, ma lo pone semplicemente sullo sfondo. Modernità e post-moderno, infatti, implicano quasi sempre un concetto di spazio "istituito", individuato e individuante, come la piazza, appunto.

Al contrario, la globalizzazione (o surmodernità, come la chiama Augé), è fondata sull’instabilità. E’ caratterizzata da una sorta di ipercomunicazione estesa, che Augé individua nel passaggio dal testo all’ipertesto. L’informazione è sovrabbondante, eccessiva, distrae le coscienze. Le identità sono attratte / distratte dai continui "rimandi interattivi", così come il cliente del supermercato è attratto / distratto dalle offerte pubblicitarie.

Così anche il passato diventa una citazione, una serie di indicazioni diramate verso castelli, borghi e monasteri da visitare e/o non visitare durante il tragitto (l'autostrada non attraversa le città, i paesi, i luoghi, li cita soltanto, li sfiora), sulla base dei suggerimenti forniti da un dépliant turistico o da un navigatore satellitare.

L’ipercomunicazione genera dunque una inevitabile proliferazione di senso che decontestualizza lo spazio-tempo. L’identità non si riconosce più nel "luogo", come insieme di riferimenti e di istanze familiari tramandate nel tempo, ma nell’anonimato del "non-luogo".



Il lato perverso di questa situazione - se è vero come è vero che l'arte è "figlia del suo tempo" (W. Kandinskij) e che pertanto ne eredita pregi e difetti, stereotipi e contraddizioni, ma anche fascino e innovazioni - è che un'opera d'arte inserita in un "non-luogo" ne assume a poco a poco tutte le caratteristiche negative, l'anonimato in primo luogo. Non è più un elemento di arredo o di design, non è più un elemento di demarcazione architettonica o di risignificazione urbana. E' purtroppo soltanto infografica. Un'opera d'arte sminuita, mimetizzata, che ha totalmente perso il suo status, la sua centralità (politica ed istituzionale) e la sua funzione, per trasformarsi in un qualcosa di anonimo: uno standard, un elemento di misurazione e distanziamento dei percorsi.

Eppure, questo modello di vita e di consumo non soltanto è diventato dominante, ma sembra piacere a un numero sempre maggiore di persone, di utenti "generici", riscuotendo un successo via via crescente. E' la quintessenza della globalizzazione. Una globalizzazione che mette inevitabilmente in crisi qualsiasi concezione dell'arte e dei modi di produrla che si sono succeduti sinora nel corso della storia, fino ai nostri giorni. Sta cambiando tutto: sono cambiati gli strumenti, sono cambiate le finalità, è cambiato il pubblico, è cambiato il modo di produrre e comunicare arte.
Come uscirne?

La fine delle ideologie e la crisi di identità e di valori che attanaglia l'uomo contemporaneo sono tutto sommato fenomeni ancora connessi, per diversi aspetti, alla post-modernità, che la globalizzazione selvaggia non ha fatto altro che accelerare e portare in evidenza, con tutte le loro contraddizioni e brutali storture. Allo stesso tempo, le possibili alternative, dall'ambientalismo alla decrescita sostenibile, dalla glocalizzazione (1) alla sostituzione del concetto di PIL (prodotto interno lordo) col concetto di FIL (felicità interna lorda), non sembrano aver avuto sinora la forza di scardinare l'attuale sistema politico-economico capitalistico, bensì hanno ottenuto risultati estemporanei, provvisori, poco strutturati, nell'ambito di scenari terzomondisti flagellati dalla povertà sociale ed economica e da una esasperata conflittualità (etnica, religiosa, politica, ecc.), perfettamente funzionale all'attuale sistema di potere e di asservimento neoliberista.

Pierre Lévy avanza, nel suo libro "L'intelligenza collettiva", già citato, l'ipotesi che sia in atto addirittura un cambiamento antropologico. Secondo Lévy, infatti, la storia dell'umanità può essere suddivisa, per grandi linee, in spazi antropologici, che a loro volta si susseguono l'un l'altro in maniera "coestensiva" e non antitetica, e pertanto sostiene che sia in atto una transizione dall'attuale Spazio delle Merci (il capitalismo), ad un imminente e in parte già realizzato Spazio del Sapere (Internet), come luogo d’incontro e riconoscimento collettivo, di collaborazione intelligente e condivisione delle conoscenze, di cooperazione e apprendimento interattivo.

Secondo Fritjof Capra, inoltre, il "capitalismo globale" mirerebbe ad accrescere soltanto il potere e la ricchezza delle élite (una specie di Network society gestita da tecnocrati), mentre le "comunità sostenibili" (assimilabili per certi aspetti alle "comunità di cybernauti" di Lévy) mirerebbero ad incrementare il benessere delle popolazioni, attraverso la costruzione di "reti ecologiche".

(1)  Il termine glocalizzazione nasce da un gioco di parole che significa globale + locale, ovvero la necessità di adeguare le dinamiche della globalizzazione selvaggia e neoliberista alle realtà locali e solidali, secondo l'idea del sociologo inglese Roland Robertson, poi approfondita e portata a compimento da Zygmunt Bauman.

Ma, the zen space - Tecnica mista su tela: tempera e acrilici.

Quale che sia la verità, non esistono al momento vie d'uscita praticabili, a meno di non rimettere completamente "in discussione" l'intero sistema di riferimenti culturali e modelli socio-comportamentali e produttivi che attualmente caratterizzano l'età globale.

Oppure, bisognerebbe ridisegnare lo spazio e i "non-luoghi" da una prospettiva completamente diversa, ribaltata, interiore ed intimistica, che è poi il modo di 'vedere' e sostanzialmente di 'sentire' dell'artista. Partire, in altre parole, da se stessi, dal proprio vissuto quotidiano, cambiare innanzitutto il proprio modo di percepire il mondo e di rapportarsi alla realtà, allargare dunque i propri orizzonti, i propri spazi, la propria intimità e, di conseguenza, i luoghi della coscienza (e dell'auto-coscienza). Si, lo spazio interno, come completamento dello spazio esterno, soffocato dalle limitazioni sociali e dalle contraddizioni dell'epoca globale. Non si può fare a meno di non pensare a "Ma", il concetto giapponese di spazio secondo lo Zen.

"Ma" indica sia la pianta di un edificio che la sua disposizione spaziale. Lo spazio è sostanzialmente un "allineamento di segni". Se questo allineamento si modifica, di conseguenza anche lo spazio-tempo viene modificato, e con esso tutti i significati connessi a questo spazio-tempo. L'estetica architettonica della cultura giapponese deriva dunque da una "chiave di lettura" che integra altresì lo studio del paesaggio. Di qui la straordinaria modernità dell'architettura zen, con i suoi ambienti astratti, sobri, persino metafisici, che conservano in sé tanto elementi della natura che dello spirito.

"Ma" è creare "intervalli", all'interno dei quali lo spirito possa riposarsi e trovare giovamento dalla contemplazione del vuoto, che è l'essenza di tutte le cose.

Materiali, colori e forme devono contribuire a ricreare l'originario equilibrio fra natura e forma, spazio e spirito, vuoto ed essenza, ovvero il fluire del tempo e gli "intervalli" della contemplazione. Ecco, cambiare la prospettiva di osservazione, vivere ed affrontare la globalità da un punto di vista sovvertito, non convenzionale, che ci restituisca a noi stessi, all'antico rapporto di equilibrio con la natura. E' questa l'opportunità da cogliere, la lezione che bisogna saper trarre da ogni crisi.

Per Tadao Ando lo spazio, il Ma, è uno spazio vuoto di tempo dove si realizza (cosa ormai rara in un tempo di globalizzazione) la metafisica di un silenzio esteso dinamicamente.

Ma non è l'unico problema che investe l'opera d'arte al giorno d'oggi. Ne "L’uomo artigiano" (2008), Richard Sennett afferma che l'arte è in crisi perché ha perso la manualità... Nelle scuole e nelle Accademie si celebra ancora il primato della teoria e della concettosità. Così si sono perse le capacità artigianali che facevano la differenza. Ma qualcosa oggi sta cambiando, soprattutto nel design.

Il libro è indubbiamente di stringente attualità e l'ingresso prepotente delle tecnologie digitali nell'ambito delle discipline artistiche, sembra aver accelerato questo processo di "smaterializzazione" inesorabile dell'arte che, come già detto, sta perdendo, "l'aura che la caratterizza" (Benjamin).

Abbiamo visto infatti come la crescente digitalizzazione/meccanizzazione dei processi produttivi che presiedono alla realizzazione di un'opera d'arte possa in realtà condurre al paradosso di concepire manufatti artistici che non prevedono più alcun tipo di intervento umano, escludendo di fatto la "manualità" dalla produzione artistica, cosa che un tempo invece (nemmeno tanto remoto) era ritenuta requisito indispensabile e fondamentale per produrre arte. Anzi, la manualità era considerata lo strumento privilegiato attraverso il quale l'artista poteva creare un rapporto di osmosi, unico e irripetibile, fra sé e l'opera d'arte. Ed era anche lo strumento che di fatto consentiva all'artista di identificarsi appunto 'come tale'.


Looking upside down

Visual metamorphoses

Tecnica mista su cartoncino: tempera e matite.

Lotus elegance

Oblique convergences

Tecnica mista su cartoncino: marker ad acqua e inchiostri colorati

Schizophrenic lights

Inner Layers

Tecnica mista su tela: marker ad acqua e finitura lucida.

First and second floor

Vertical plots

Tecnica mista su tela: marker ad acqua, tempera ed acrilici.

Tuttavia non crediamo che il minimalismo contemporaneo e l'astrattismo abbiano privilegiato esclusivamente la concettosità razionale e la forma, a scapito della narratività e della fantasia. Sarebbe come affermare che la dottrina della "forma pura", propugnata dal Bauhaus, abbia progressivamente indebolito l'arte, privandola di qualsiasi emotività e riducendola, di fatto, a una sorta di meccanismo autoreferenziale, su scala industriale: un susseguirsi di strutture astratte, impersonali e ripetitive.

Al contrario, le avanguardie artistiche del '900 hanno sovvertito i canoni estetici tradizionali, le categorie del bello, del sublime, della simmetria, dell'equilibrio, portando la realtà, il dinamismo della modernità, le contraddizioni sociali, la cultura dell'alterità e dell'identità etnico-geografica nell'arte. Picasso ha scoperto la bellezza dell'arte indigena africana e il dadaismo si è interrogato con ironia sulle pratiche e i principi dell'arte, capovolgendone i significati e le finalità. Dunque, l'arte intesa come impegno, ricerca, innovazione, persino provocazione, non soltanto concettosità.

La convinzione che il minimalismo, l'arte povera, il concettualismo abbiano imposto una sorta di International Style globalizzato, uguale in ogni angolo della terra, nemico del gusto e della contemplazione estetica è da ritenersi pertanto falsa per il semplice motivo che tutti i grandi artisti, non soltanto pittori e scultori, ma fotografi, architetti, sceneggiatori e via di seguito, hanno sempre avuto un rapporto privilegiato con gli strumenti del proprio lavoro, i materiali, le tecniche, i colori; un rapporto di "osmosi", di identificazione quasi totale e reciproca fra artista e opera d'arte.

Le opere di Lucio Fontana, ad esempio, hanno in sé qualcosa di ascetico, sono in qualche modo collegate alla meditazione; ne "Lo zen e il tiro con l'arco" di Herrigel Eugen, l'io mette in gioco se stesso, la freccia punta dritta al bersaglio, ma il bersaglio da colpire è, come nelle opere di Fontana, l'arciere stesso, l'io nudo privo di maschera.

E che dire delle opere di Costantin Brancusi? le sue sculture lignee? le pietre levigate, smussate con perizia artigianale, tanto artigianale da rasentare un primitivismo quasi "mistico"?

E l'Action Painting di Pollock? non somiglia forse ad un amplesso fisico, una relazione catartica fra il pittore e la tela? (il pittore ci sguazza sopra e la cosparge di colori, di vernice fresca).

Pertanto, quello che troviamo interessante nel libro di Sennet è la nozione di artista come "artigiano", artigiano che abbandona l'atelier per "ritornare alla bottega", circondato dagli arnesi del mestiere, dallo scorrere lento e disinteressato del tempo, perché il tempo non vuol dire denaro, non vuol dire competizione. L'artigiano ama il proprio lavoro, il lavoro è "dedizione" e sacrificio, passione e sollecitudine: il lavoro impreziosisce l’opera d'arte. Esattamente come nello Zen. 


Sull'Arte Zen  

Approfondimento

La nascita dello Zen è tradizionalmente legata ad un fiore. Pare che un giorno il Buddha avesse tenuto un sermone, un sermone diverso da tutti gli altri, perché durante tutta la sua durata non proferì parola, ma tenne semplicemente un fiore di loto fra le dite, mostrandolo in silenzio ai suoi seguaci. I quali non compresero. Soltanto Mahakasyapa, uno dei suoi discepoli preferiti, sorrise, dimostrando di aver perfettamente inteso il messaggio. Buddha gli consegnò allora il fiore e, con esso, l'insegnamento più alto, quello "al di fuori delle scritture".

Il pensiero Zen ha profondamente plasmato la cultura orientale secondo modalità, principi e canoni estetici radicalmente diversi da quelli occidentali, eppure in tempi recenti è entrato a far parte degli orizzonti culturali e spirituali dell'uomo occidentale, esercitando un'influenza preponderante e duratura sull'arte, il design e l'architettura contemporanea. Questa penetrazione, che per quanto concerne la letteratura e soprattutto la filosofia si è manifestata già molto prima, con Schopenhauer in Europa e Ralph Waldo Emerson in America, si afferma tuttavia in modo risolutivo e cruciale a partire dagli anni '50 del secolo scorso con l'Espressionismo Astratto nordamericano di Kline, Tobey e Pollock, artisti che in periodi diversi della loro vita hanno avuto frequentazioni Zen, subendone una decisiva influenza. In particolare, la gestualità di Kline e Tobey trae sicuramente ispirazione dallo "Shodo", l'arte della calligrafia tradizionale giapponese.

Un opera "gestuale" del pittore nordamericano Franz Kline.

Un'opera calligrafica del maestro giapponese Fujiwara no Sukemasa (944-998).

Il simbolo di "Enso" (o Cerchio dell'Illuminazione), che rappresenta il Satori (illuminazione Zen).

Ma ancora più profondi sono gli influssi dello zen sul design e l'architettura, come è possibile constatare dalle immagini sotto riportate: da un lato le opere zen, con datazioni che variano dal '700 dopo Cristo al 1600 circa, secoli di penetrazione dei primi missionari cristiani in Giappone; dall'altro i corrispettivi contemporanei. E' sorprendente non soltanto la somiglianza, ma soprattutto la modernità dell'arte Zen, che non ha perso né fascino né spontaneità né freschezza.

In alto alcuni interni tradizionali giapponesi: casa con giardino, templio con giardino, infine la classica parete di carta di riso.
E' straordinaria la modernità dello zen, se consideriamo che alcuni templi e alcune case dell'antica capitale Kyoto sono vecchie più di mille anni.

In basso alcuni esempi di architettura moderna.

Un albergo moderno, con al centro un giardino che è chiaramente ispirato al classico giardino zen di arenaria e pietre.

Per secoli i monaci hanno tramandato con devozione e scrupolo l'arte dei giardini di sabbia Zen.

In alto, alcune re-interpretazioni moderne di giardini zen.

In alto, antiche tazze per la cerimonia del tè e sandali tradizionali in legno.

Oggetti di design moderno, eco-minimalista, realizzati utilizzando materiali poveri: legno, juta, pietra.

In alto un'antica fontana da giardino, con canna e mestolo di bambù (per bere l'acqua).

Sotto, uno dei tanti lavabi moderni, chiaramente ispirati alle fontane da giardino Zen.

La modernità dell'arte Zen ha ricevuto nel corso degli ultimi anni sia un’adeguata elaborazione teorica che un consapevole riconoscimento da parte della critica e di quegli artisti che operano nel campo del sincretismo culturale e di un'estetica lineare, dalle caratteristiche eleganti e sobrie.

Un'estetica attenta alla sfumature e ai contrasti, all'equilibrio fra pesi e contrappesi, e ad una dinamica degli elementi che tuttavia si risolve verso l'armonia. L'ordine non prevale mai sul disordine e viceversa. Allo stesso modo razionale e irrazionale si compenetrano in una profondità impersonale, che mira all'armonia e all'essenzialità. Al contrario dell'artista occidentale, il cui ego è predominante nella composizione dell'opera d'arte, l'artista orientale sembra mettere l'ego in secondo piano, fondendolo col tutto, in una misteriosa asimmetria di presenze e assenze, singolarità e moltitudini, dettagli e raffinatezze che sembrano ricordare gli sfarzi della pittura "fluttuante" di Hokusai. Nell'estetica giapponese non esiste alcuna idea di "bello" secondo il canone classicista di bellezza, prevalente invece nel mondo occidentale. Per l'arte giapponese il bello è rappresentato dalla natura e quindi dalle sue qualità intrinseche: armonia, naturalezza, semplicità. Le cose si fanno da sé o anche Le cose così come sono, come spesso ripetevano i maestri Zen ai loro discepoli.

Un dipinto del maestro Sesshu Toyo, particolare di paesaggio (1495).

Così bastano una canna, un mestolo di bambù e una pietra levigata, per realizzare una sobria fontana dalle vaste implicazioni simboliche legate alla cerimonia del tè o pochi tratti d’inchiostro, netti e risoluti, che si attenuano in venature sottili e delicate, come nubi, spazi sospesi, per disegnare un paesaggio che sembra emergere dal nulla, da uno spazio-tempo fluttuante, che si materializza improvviso sulla carta bianca del dipinto: nubi, nebbie vaporose, ruscelli, rami di ciliegio, appena schizzati, due colpi di pennello, un lampo di luce, un'idea fugace e misteriosa, che nasce dal di dentro, dalle profondità di "Enso", il Cerchio dell'Illuminazione buddhista. E lo stesso analogo procedimento è utilizzato nella scrittura. Gli haiku sono poesie brevi, d'una immediatezza sorprendente, dipinti che vengono realizzati non con le immagini, ma con le parole, con poche semplici magiche parole. Haiku è in altre termini una "poesia che si dipinge" ed è contemporaneamente associata a "Shodo", l'arte della calligrafia.

Poesie che nascono come per incanto dal vuoto, proprio quel vuoto che è l'oggetto principale della meditazione buddhista: un vuoto che comprende il tutto e un tutto che è sostanzialmente vuoto, privo di individualità, poiché tutte le cose sono interdipendenti, non esistono di per sé, ma esistono in relazione al tutto e quindi a qualcos'altro. Il mondo, secondo l'esperienza dello Zen, è un campo di relazioni, anzi un'infinita rete di relazioni e lo stesso vuoto è in realtà un "vuoto pieno" (Mu, che nel buddhismo Zen può essere tradotto approssimativamente come "nessuno" o "senza", quindi né vuoto né non vuoto).

Allo stesso modo, si può ritornare alla domanda che ci siamo già posti un'infinità di volte: cos'è arte e cos'è non arte. La risposta potrebbe essere "Mu", né arte né non arte o semplicemente, secondo la traduzione che ne fece Robert M. Pirsig nel suo libro "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta": non fare la domanda. E, potremmo aggiungere, la verità consiste nel capire, non nel postulare.

Vorrei dunque concludere con alcuni "principi" dell'arte Zen, che più di tante altre parole, sono utili a farci comprendere la verità dello Zen senza pregiudizi o false congetture.

Principi dell'Arte Zen

L'arte zen incoraggia e considera positive qualità che invece sono state a lungo ignorate o disprezzate dalla cultura occidentale. Queste qualità sono così riassunte da Shin'ichi Hisamatsu, nel suo libro "Zen and the fine Arts" del 1971:

  1. semplicità
  2. austerità
  3. asimmetria
  4. naturalezza
  5. tranquillità
  6. profondità misteriosa (yugen)
  7. libertà dagli attaccamenti

Le prime cinque qualità sono sostanzialmente facili da capire, osservando questa tazza da tè:

l’indole è austera, la forma è semplice, ad un tempo asimmetrica, l'aspetto è naturale, sia per l'immediatezza con la quale è stata forgiata, sia nella scelta del materiale con cui è realizzata; inoltre, se vista o presa in mano è comoda da tenere, il tè caldo vi si adagia dentro senza tensione, dunque trasmette un senso di tranquillità e pace interiore. Tuttavia, le venature della pietra nascondono figure enigmatiche dai contorni vaghi e imprecisi, che soltanto "yugen" (profondità misteriosa) può rivelare. Questa profondità custodisce "mono no aware" (turbamento delle cose), poiché tutto muta incessantemente, tutto è impermanente, tutto è effimero, tutto sembra non esistere di per sé, se non in relazione all'incessante "divenire".

Dopotutto, le tre caratteristiche fondamentali dell'esistenza per il Buddhismo sono: impermanenza, dolore e non sé.

Profondità misteriosa e turbamento delle cose sono poi direttamente collegati ad altri principi, non meno importanti: aware, infatti, può essere tradotto in diversi modi, come "oh, quale meraviglia, quale bellezza", ma anche "oh, quale nostalgia, quale dolore e quale intensità", indicando in tal modo sia l'incanto della natura (centrale nel pensiero shintoista), che l'impermanenza delle cose (centrale nel pensiero buddhista). Il primo produce gioia, stupore, rapimento, mentre la seconda produce nostalgia, insoddisfazione, dolore.

Ed è in relazione a "yugen", che si forma a poco a poco, nelle arti figurative, come anche nella poesia e nella letteratura, il concetto di Wabi/Sabi, ovvero la bellezza delle cose imperfette, incompiute, fugaci, schive, discrete, senza pretese, non sofisticate, irregolari, grezze e difettose, perché è proprio la loro imperfezione, è proprio l'accettazione della vita in tutti i suoi aspetti, a creare quel senso di appagamento, di calma imperturbabile, di sobrio ed elegante distacco, che costituiscono l'essenza della poetica Zen e della sua raffinata semplicità. L'arte dello Zen è tutta qui.

Nebbia e pioggia
il Fuji non si vede.
È suggestivo

(Basho)

 



Infatti, non è tanto l'invito di Sennet ad abbandonare il computer, che capta l'attenzione del lettore smaliziato, dal momento che, come abbiamo visto, l'utilizzo del computer è assolutamente centrale nell'arte dell'assemblaggio, così come l'abbiamo concepita e teorizzata sinora; ma è il proposito di voler finalmente interrompere "la separazione tra mano e testa, tra tecnica e scienza, tra arte e mestiere ..." poiché "... è la mente a soffrirne: intelligenza e capacità espressiva ne vengono entrambe compromesse".

Questa "separazione" di fatto caratterizza gran parte dell'arte contemporanea e soltanto i grandi artisti, come abbiamo già detto, sono riusciti a porvi rimedio, immedesimandosi totalmente (e compiutamente) nell'atto creativo.

Insomma, ancora una volta, non si tratta di "negare" la tecnologia, ma di coglierne le opportunità, le potenzialità illimitate, adattandola alle nostre esigenze, indirizzandola verso nuovi orizzonti: tutto dipende da come la si "utilizza" e quali obiettivi ci si propone di conseguire. Ed è probabilmente questa la giusta prospettiva dalla quale considerare non soltanto l'arte, intesa come pittura o scultura, ma il design e l'architettura. Sarebbe impensabile oggi per un designer o un architetto fare a meno del computer, dei programmi di modellazione e rendering tridimensionale. Dunque la bottega, il laboratorio spirituale, sono da ricercare nella "mente" (kokoro), nel rapporto che l'artista instaura con se stesso e la realtà circostante. Il laboratorio minimalista consiste in definitiva in una metodologia di lavoro, in una particolare expertise che consente all'artista di avvalersi di tecniche e strumenti di volta in volta diversi in relazione a opere e contesti molteplici, al giorno d'oggi illimitati. L'approccio all'arte e quindi al design, alla manualità, alla professione in genere, dovrà essere aperto e, di conseguenza, "consapevole, centrato". La mente è il vero "centro", corpo e mente sono una sola cosa, fluiscono l'una nell'altra, nella molteplicità delle cose, nel mutamento incessante. Come nel bushido (arte marziale), lo spirito deve adattarsi alle situazioni come l'acqua si adatta all'alveo dei fiumi, ma la consapevolezza rimane ferma e centrata in se stessa, o meglio in "hara" (il centro vitale secondo il Buddhismo).

L'homo faber viene inteso come il "nuovo" artista del Terzo Millennio, che recupera la sua dimensione originaria, spontanea, non competitiva, naturale, in armonia con l'ambiente, la società e il territorio. Il "recupero della manualità" dunque, in un'ottica di recupero e attivazione dei rapporti, consci e inconsci, tra corpo, mente e attività creativa; recupero del "contatto" con i materiali e le tecniche "espressive", antiche e moderne, dal vetro, alla ceramica, alla tessitura, in maniera non contrapposta, ma complementare all’arte astratta e concettuale. Una sorta di "neo-umanesimo", attento all'ambiente e alla società.

Internal brain

Tecnica mista su tela: tempera e vernice acrilica.

Pending eggs

Tecnica mista su cartoncino: tempera, vernice acrilica e inchiostro.

Metaphisical fragments

Tecnica mista su tela: marker ad acqua e tempera.

In quest'ottica il computer diventa un potenziale "alleato", un punto di raccordo effettivo fra progettualità e manualità, mente e corpo. Non soltanto strumento di lavoro, ma elemento familiare, di compresenza, parte di un contesto (produttivo ed esistenziale) più ampio o, se vogliamo, di un laboratorio minimalista dell'anima.

Potremmo parlare dunque di Ambient Art come Ambient Music, senza per questo stupirci: se la similitudine è corretta, un simile approccio all'arte presuppone (anche) una "prospettiva esistenziale" ovvero spirituale.

E non possiamo fare a meno di ritornare con la mente alle parole iniziali di Brian Eno, a proposito di "artigianato modulare" :

 [...] io prima disegno la musica, quelli che chiamo mondi di tre minuti, poi mi metto a cercare delle parole, stando attento a che non siano esplicite ma piuttosto allusive. Devo farci molta attenzione: le parole rendono la musica più piccola. La imprigionano, le tolgono potere. L'arte nel nostro tempo è un campo in cui, per tracciare un raffronto con la scienza, siamo ancora a un'epoca pre-darwiniana. Siamo fermi a vecchie categorie e gerarchie, a classificazioni obsolete. Occorre trovare un sistema che riconnetta tutti gli elementi in modo nuovo: come nel pensiero laterale di Edward De Bono.

Secondo Proust Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Allo stesso modo, per Gardner e Goleman la creatività è il frutto di un'autentica ginnastica costruttiva della mente.

Secondo Goleman, i nemici della creatività, sia nel bambino che nell'adulto sono:

  1. l'auto-sorveglianza
  2. l'ansia da prestazione
  3. la paura della valutazione
  4. l'attesa di ricompense
  5. la competizione
  6. la pressione
  7. l'auto-limitazione, ecc.

mentre gli ingredienti della creatività sono:

  1. la passione
  2. la costanza
  3. il pensiero agile e innovativo
  4. l'esperienza (expertise)
  5. l'abilità manuale
  6. la capacità di utilizzare strumenti nuovi, facili e divertenti
  7. ovvero "materiali insoliti"
  8. e ancora l'autostima
  9. la gestualità
  10. il senso della musica

Assemblare significa dunque avere gli occhi del bambino: è questo che fa la differenza, che produce "Arte" con la A maiuscola. Avere lo stesso impulso del bambino, il suo desiderio di esplorare, di manipolare gli oggetti, le cose; perché le esplorazioni, anche le più elementari, sono per il bambino lezioni di vita, esercizi pratici per risolvere i problemi, ovverosia processi mediante i quali egli inventa se stesso, giorno per giorno, gettando le basi, durante l’infanzia, della sua futura personalità, della sua vita da adulto.


Il senso della musica.

La manualità trae beneficio dalla musica: dipingere su cartoncino, coi pastelli, utilizzando la tecnica del frottage, sfregando cioè leggermente la matita sugli oggetti posti al di sotto del cartone, in modo da ottenerne rilievi impercettibili, forme vaghe e sottili, che emergono da lontananze infinite, mentre i raggi del sole filtrano silenziosi dalle persiane socchiuse e, ancora, immaginare mondi misteriosi, universi pastellati, evanescenti, rarefatti, tutto ciò mi fa pensare alle armonie eteree di "Music for airports" di Brian Eno, che affiorano dilatate e circolari, nel sottofondo della stanza.

Oppure, gettare alla rinfusa ritagli di giornale, di pubblicità colorate sulla tela, come nei collage di Matisse, così vivaci, danzanti, pieni di gioia: non posso fare a meno di ascoltare "Un americano a Parigi" di Gershwin.

O ancora, lavorare con la tempera acrilica e versare sulla tela un turbinio di tonalità stridule, accecanti, in contrasto l'una con l'altra, ed immaginare che Ornette Coleman stia appena incidendo "Science Fiction" dal vivo.

E di notte, quando i sogni cominciano ad istoriare l'orizzonte di bagliori e desideri, progettare al computer spazi tridimensionali, nella profondità del cielo stellato e della città addormentata tutt'intorno, accarezzati dalla voce calda e sensuale di Kay Rush, sulle note intriganti di Radio Montecarlo Night.

Tutto questo rappresenta il "senso della musica", il piacere di utilizzare materiali nuovi e insoliti, di sperimentare appassionatamente tecniche ibride, non convenzionali, "divertenti", secondo le parole di Goleman.

"Divertirsi", in armonia con se stessi, è dunque la quintessenza dell'arte dell'assemblaggio.

Il divertimento significa "autostima", che a sua volta implica un senso di pacificazione interiore e di equilibrio. Gioco e disciplina diventano complementari e, di conseguenza, portano lo spirito ad auto-compiacersi delle proprie creazioni, che sono appunto frutto della "manualità".

La manualità che non è scissa dal pensiero, ma compenetrata ad esso, tramite l'atto creativo (manualità e zen).

Secondo il maestro giapponese Shin’ichi Hôseki Hisamatsu, il segreto dell'arte consiste nella "naturalezza" : il "non forzato", l'"esser-così-come-si-è", che non significa affatto naïveté, sprovvedutezza, bensì una sorta di "pura dedizione alla cosa in sé". In altre parole, l'arte è sì uno stile di vita, ma soprattutto un modo di essere e percepire, o se vogliamo, un'attitudine esistenziale e, ad un tempo, un approccio pratico ("un sistema che riconnetta tutti gli elementi in modo nuovo: come nel pensiero laterale...").

Questa disinvoltura è chiamata dallo Zen "agire come per gioco" o anche "esser non-impedito" : quello che si realizza nell’opera d’arte è, secondo Shin’ichi Hôseki Hisamatsu, determinato da questa "naturale disinvoltura del soggetto" (che è lo Zen stesso).

Pertanto, come nello Zen ogni uomo "risvegliato" è un Buddha, allo stesso modo, nell'arte dell'assemblaggio, ogni uomo vigile e consapevole della propria creatività, nonchè delle tecniche e degli strumenti della propria arte, è un "artista" (o se preferite, un "non-musicista").

L'arte è saper cogliere questa "opportunità infinita".

Laddove non c’è assolutamente nessuna cosa, sta qualcosa di inesauribile, nascosto alla molteplicità delle cose. ... Il vero cuore è senza forma e senza modo. Perciò pervade il cosmo intero.

(Rinzai)

 

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Assemblage

Tecnica artistica.

Fonte Britannica. L'assemblage o assemblaggio è una tecnica artistica mediante la quale si producono opere complesse e articolate che incorporano oggetti d'uso quotidiano, ad esempio oggetti non artistici, come un pezzo di corda o un giornale, che possono acquisire, a seconda del cntesto, diversi significati estetici o simbolici. Il termine 'assemblage', coniato dall'artista Jean Dubuffet negli anni '50, può riferirsi dunque sia a composizioni bidimensionali che tridimensionali.

Autori principali:  Jean Dubuffet, Pablo Picasso, Georges Braque, Umberto Boccioni, Marcel Duchamp, Robert Raushemberg, etc. (arti visive) - Filippo Tommaso Marinetti, Abdré Breton, ecc. (letteratura)

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Pierre Lévy

Filosofo, antropologo: francese

Fonte Wikipedia. Pierre Lévy è uno studioso delle implicazioni culturali dell'informatizzazione, del mondo degli ipertesti, e degli effetti della globalizzazione, è titolare di una cattedra di intelligenza collettiva all'università di Ottawa. Si interessa di computer e Internet, come strumenti per aumentare le capacità di cooperazione della specie umana, nell'ambito di quella che lui definisce 'intelligenza collettiva' (vedi:  Intelligenza collettiva).

Opere principali:  L'Intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberespace, ecc.

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Brian Eno

Musicista, compositore: britannico

Fonte Wikipedia. Brian Eno è un musicista, compositore e produttore discografico britannico. Considerato uno dei più importanti autori moderni, è ricordato anche per essere stato l'inventore della musica d'ambiente (vedi:  Ambient music).

Opere principali:  Dicreet musicMusic for filmsNeroli, ecc.

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Edward De Bono

Scrittore, saggista: maltese

Fonte Wikipedia. Edward De Bono è uno scrittore maltese. De Bono è noto per una nutrita serie di libri in cui ha affrontato, esponendo sue personali teorie, argomenti e temi sul pensiero creativo e dei meccanismi della mente (vedi:  Pensiero laterale).

Opere principali:  Lateral thinking: a textbook of creativityI am right, you are wrong, ecc.

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Walter Benjamin

Filosofo, saggista: tedesco

Fonte Wikipedia. Walter Bendix Schoenflies Benjamin conosciuto come Walter Benjamin è stato un filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco, fra i precursori della cosiddetta 'Scuola di Francoforte' (vedi:  Scuola di Francoforte).

Opere principali:  L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnicaÜber den Begriff der Geschichte, ecc.

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Man Ray

Pittore, fotografo: americano

Fonte Wikipedia. Man Ray, nato Emmanuel Rudzitsky, è stato un pittore, fotografo e grafico statunitense esponente del Dadaismo (vedi:  Dadaismo).

Opere principali:  Cadeau (scultura: ferro da stiro con chiodi)L'étoile de mer (film d'avanguardia), ecc.

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Andy Wharol

Pittore, fotografo: americano

Fonte Wikipedia. Andy Warhol, è stato un pittore, scultore, regista, produttore cinematografico, direttore della fotografia, attore, sceneggiatore e montatore statunitense, figura predominante della 'Pop Art' e dei Velvet Underground (vedi:  Pop ArtVelvet Underground).

Opere principali:  Marilyn Monroe, Campbell's tomato, Coca-Cola (quadri)Sleep, Eat, Blow Job (film sperimentali), ecc.

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Lucio Fontana

Pittore: italiano

Fonte Wikipedia. Lucio Fontana è stato un pittore, ceramista e scultore italiano, argentino di nascita, fondatore del movimento spazialista. (vedi:  Movimento spazialista).

Opere principali:  Concetto spaziale, Attese (quadri)Sfere, Donna con fiore, Ritratti di Milena Milani (sculture), ecc.

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Christo

Scultori: statunitensi

Fonte Wikipedia. Christo e Jeanne-Claude, o più spesso semplicemente Christo, è il progetto artistico comune dei coniugi statunitensi Christo Yavachev e Jeanne-Claude Denat de Guillebon, fra i maggiori rappresentanti della Land Art e realizzatori di opere su grande scala. (vedi:  Land Art).

Opere principali:  Pont Neuf, Porta Pinciana, Reichstag, ecc. (imballaggi)The Gates, The Floating Piers al lago di Iseo (percorsi), ecc.

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Joseph Kosuth

Artista: statunitense

Fonte Wikipedia. Joseph Kosuth è un artista statunitense. Joseph Kosuth, importante esponente dell'arte concettuale, ha studiato belle arti alla School of Visual Arts di New York. (vedi:  Arte concettuale).

Opere principali:  One and Three Chairs, Five Words in Blue Neon, Ex libris, ecc. (installazioni)Artist as Anthropologist, Art after Philosophy (libri), ecc.

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Edvard Munch

Pittore: norvegese

Fonte Wikipedia. Edvard Munch è stato un pittore norvegese, uno dei più famosi del novecento. Esercitò un'influenza determinante sull'arte a lui coeva, specialmente sull'espressionismo tedesco e nord-europeo e molte sue opere sono caratterizzate da un pregnante simbolismo. (vedi:  EspressionismoSimbolismo).

Opere principali:  Sera sul viale Karl Johan, Urlo, Autoritratto con sigaretta, La fanciulla malata (quadri), ecc.

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Edward Hopper

Pittore: americano

Fonte Wikipedia. Edward Hopper è stato un pittore statunitense, famoso soprattutto per i suoi ritratti della solitudine nella vita americana contemporanea, considerato uno dei maggiori esponenti del cosiddetto 'realismo americano', influenzò la fotografia e fu precursore dell'iperrealismo pittorico. (vedi:  Realismo americano, Iperrealismo).

Opere principali:  Nighthawks, The House by the Railroad, Girl at Sewing Machine (quadri), ecc.

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Max Ernst

Pittore: tedesco

Fonte Wikipedia. Max Ernst è stato un pittore e scultore tedesco naturalizzato francese. Viene considerato uno dei maggiori esponenti del surrealismo. (vedi:  Surrealismo).

Opere principali:  Oedipus Rex, Foresta imbalsamata, La vestizione della sposa, L'éléphant Célèbes (quadri), ecc.

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Henri Matisse

Pittore, incisore: francese

Fonte Wikipedia. Henri-Émile-Benoît Matisse è stato un pittore, incisore, illustratore e scultore francese. Matisse è uno dei più noti artisti del XX secolo, esponente di maggior spicco della corrente artistica dei Fauves. (vedi:  Fauvismo).

Opere principali:  Finestra aperta, Gioia di vivere, La danza, Musica, Pesci rossi, Jazz (quadri), ecc.

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Pop Art

Movimento artistico.

Fonte Wikipedia. Corrente artistica affermatasi negli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso, e poi diffusasi in Europa, basata sulla riproduzione esasperata e deformata, in chiave critica e ironica, dei materiali e dei simboli della civiltà dei consumi (immagini pubblicitarie, fumetti, oggetti d'uso comune).

Autori principali:  Andy Wharol, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, George Segal, ecc.

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Marcel Duchamp

Pittore, scultore: francese

Fonte Wikipedia. Marcel Duchamp è considerato fra i più importanti e influenti artisti del XX secolo, nella sua lunga attività si occupò di pittura (attraversando le correnti del fauvismo e del cubismo), fu animatore del dadaismo e del surrealismo, e diede poi inizio all'arte concettuale, ideando il ready-made e l'assemblaggio. (vedi:  Dadaismo).

Opere principali:  L'orinatoio Fontana, La macchina celibe (sculture, genere ready made), Monna Lisa con baffi e pizzetto di L.H.O.O.Q., Nudo che scende le scale n.2 (quadri), Anémic Cinéma (film), ecc.

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Brian Sewell

Critico d'arte, saggista: inglese

Fonte Wikipedia. Brian Sewell è un critico e saggista inglese, noto per le sue controverse e sagaci polemiche sull'arte concettuale di cui, peraltro, è un profondo conoscitore (vedi:  Arte concettuale).

Opere principali:  London Evening StandardTurner Prize, (saggi critici), ecc.

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M. C. Escher

Incisore, grafico: olandese

Fonte Wikipedia. Maurits Cornelis Escher è stato un incisore e grafico olandese. Il nome di Escher è indissolubilmente legato alle sue incisioni su legno, litografie e mezzetinte che tendono a presentare costruzioni impossibili, esplorazioni dell'infinito, tassellature del piano e dello spazio e motivi a geometrie interconnesse, che sono molto amate dagli scienziati, logici, matematici e fisici. (vedi:  Douglas Hofstadter: Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante).

Opere principali:  Autoritratto, Costa Amalfitana, Giorno e Notte, House of stairs, Pozzanghera, (incisioni, xilografie, litografie), ecc.

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Marc Augé

Antropologo, etnologo: francese

Fonte Wikipedia. Marc Augé è un antropologo ed etnologo francese. È noto per aver introdotto il neologismo non-luogo, utilizzato per indicare tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. (vedi:  Non-luogo, non-lieu).

Opere principali:  Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernitéPour une anthropologie des mondes contemporains, (saggi), ecc.

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Fritjof Capra

Fisico, saggista: austriaco

Fonte Wikipedia. Fritjof Capra è un fisico e saggista austriaco. Fisico nucleare e teorico dei sistemi è saggista di fama internazionale. (vedi:  Teoria dei sistemi).

Opere principali:  Il Tao della fisicaIl punto di svoltaLa scienza della vita (saggi), ecc.

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Zygmunt Bauman

Sociologo, filosofo: polacco

Fonte Wikipedia. Bauman è un sociologo, filosofo e accademico polacco di origini ebraiche. Ha inizialmente focalizzato le sue ricerche sui temi della stratificazione sociale e del movimento dei lavoratori, per poi concentrarsi sul passaggio dalla modernità alla post-modernità e le questioni etiche relative. Con una espressione divenuta proverbiale Bauman ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato 'solido' e 'liquido' della società. (vedi:  Società liquida).

Opere principali:  Liquid Modernity, trad. it. Modernità liquidaWasted Lives. Modernity and its Outcasts (saggi), ecc.

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Tadao Ando

Architetto: giapponese

Fonte Wikipedia. Tadao Andō è un architetto giapponese, tra i più noti sulla scena internazionale. Il suo approccio all'Architettura è talvolta classificato come Regionalismo critico. (vedi:  Regionalismo critico).

Opere principali:  Casa Azuma, Chiesa della Luce ad Osaka,  Museo d'arte moderna a Fort Worth, La Fondazione Pulitzer per le arti a Saint Louis, negli Stati Uniti (opere architettoniche),  Tadao Ando: Conversations with Students (libri), ecc.

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Richard Sennett

Sociologo, critico, scrittore: statunitense

Fonte Wikipedia. Richard Sennett è un sociologo, critico letterario e scrittore statunitense che si è occupato soprattutto dei temi della teoria della socialità e del lavoro, dei legami sociali nei contesti urbani. (vedi:  Intervista).

Opere principali:  The Craftsman, trad. it. L'uomo artigiano,  The Corrosion of Character. The Personal Consequences Of Work In the New Capitalism, trad. it. L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale (libri), ecc.

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Costantin Brancusi

Scultore: rumeno

Fonte Wikipedia. Constantin Brâncuși è stato uno scultore rumeno, fra i più importanti del '900. Lavoratore tenace e solitario, avvolto da un alone di leggenda e di mistero, la sua opera è tesa al raggiungimento della purezza e della semplicità della forma. (vedi:  Il Parco di Târgu Jiu).

Opere principali:  Uccello nello Spazio, Il bacio, Colonna Infinita, Musa addormentata, (sculture), ecc.

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Jackson Pollock

Pittore: statunitense

Fonte Wikipedia. Paul Jackson Pollock è stato un pittore statunitense, considerato uno dei maggiori rappresentanti dell'espressionismo astratto o action painting. (vedi:  Action Painting).

Opere principali:  Painting, Autumn Rhythm, Convergence, Blue Poles (quadri), ecc.

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Daniel Goleman

Psicologo, scrittore, giornalista: statunitense

Fonte Wikipedia. Daniel Goleman è uno psicologo, scrittore e giornalista statunitense. Si è laureato ad Harvard, specializzandosi in psicologia clinica e sviluppo della personalità. A lungo ha scritto sul New York Times di temi concernenti la neurologia e le scienze comportamentali. E' molto noto per aver scritto un libro di enorme successo insieme a Howard Gardner, intitolato L'Intelligenza emotiva. (vedi:  Intelligenza emotiva).

Opere principali:  Intelligenza emotiva, Intelligenza sociale, Intelligenza ecologica, Leadership emotiva (libri), ecc.

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Ornette Coleman

Musicista: statunitense

Fonte Wikipedia. Ornette Coleman è stato un sassofonista e compositore statunitense. È considerato il padre del movimento free jazz. (vedi:  Free Jazz).

Opere principali:  The Shape of Jazz to Come, Free Jazz: A Collective Improvisation, Chappaqua Suite, Ornette at 12, Science Fiction (album), ecc.

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Shin’ichi Hôseki Hisamatsu

Filosofo zen: giapponese

Fonte Wikipedia. Shin’ichi Hôseki Hisamatsu è stato filosofo e maestro del buddhismo zen. Insegnò filosofia e religione all'Università di Kyoto e fu uno dei principali esponenti della cosiddetta Scuola di Kyoto. (vedi:  Kyoto School).

Opere principali:  Zen and the fine arts (saggio), ecc.

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Surrealismo

Movimento artistico.

Fonte Wikipedia. Movimento letterario e artistico d'avanguardia, sorto in Francia dopo la prima guerra mondiale, che, proponendosi di esprimere il funzionamento reale del pensiero al di fuori d'ogni controllo esercitato dalla ragione e fuori d'ogni preoccupazione estetica o morale, s'ispira all'inconscio dell'uomo, ritenuto come il grado più profondo e più vero della realtà, e di conseguenza a tutte le manifestazioni di questo (sogni, stati sonnambolici, trance medianica, alienazione mentale).

Autori principali:  Hans Arp, Luis Buñuel, Salvador Dalí, Max Ernst, René Magritte, Joan Miró, Man Ray, Yves Tanguy, ecc. (arti visive) - Guillaume Apollinaire, Louis Aragon, André Breton, Paul Éluard, Jacques Prévert, Tristan Tzara, ecc. (letteratura)

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Marshall McLuhan

Sociologo, filosofo, critico e professore universitario: canadese

Fonte Wikipedia. La fama di Marshall McLuhan è legata alla sua interpretazione innovativa degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all'ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Di qui la sua celebre tesi secondo cui "il medium è il messaggio". Inoltre, con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, in tempo reale e su grandi distanze, il mondo è diventato più piccolo, assumendo di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio. (vedi:  Villaggio globale).

Opere principali:  La galassia Gutenberg: nascita dell'uomo tipograficoGli strumenti del comunicareIl medium è il messaggio, ecc.

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Gino Roncaglia

Filosofo, saggista: italiano

Fonte Wikipedia. Gino Roncaglia è considerato fra i pionieri dell'uso di Internet in Italia e della riflessione sulle sue potenzialità culturali (in particolare nel settore dell'editoria e degli ebook). È socio fondatore dell'Associazione culturale Liber Liber ed autore con Marco Calvo, Fabio Ciotti e Marco Zela della fortunata serie di manuali su Internet pubblicati dalla casa editrice Laterza. Oltre che sul mondo del web, sull'editoria digitale e sulle culture di rete, ha pubblicato anche numerosi studi e ricerche sulla storia della logica fra il Medioevo e Leibniz. (vedi:  Informatica umanistica).

Opere principali:  La quarta rivoluzioneIl mondo digitale. Introduzione ai nuovi mediaPalaestra Rationis. Discussioni su natura della copula e modalità nella filosofia Scolastica tedesca del XVII secolo, ecc.

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Philip Smith

Bibliotecario, saggista: statunitense

Philip Smith è un noto esperto di libri antichi e legature. Sostiene che più che definire cos'è un libro occorra considerare la qualità dell'esser-libro, la "bookness".

Saggi principali:  The Whatness of Bookness, ecc.